SUMMARY juNE jULY 2015

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ALIMENTI

Arriva la legge sull’agricoltura sociale (Disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati il 05 agosto 2015).

E’ stato approvato dalla Camera il 5 agosto il disegno di legge sull’agricoltura sociale che intende valorizzare il ruolo multifunzionale dell’impresa agricola chiamata così a fornire servizi socio-sanitari ed educativi attraverso l’inserimento socio-lavorativo nelle aree rurali.

Secondo il disegno di legge approvata rientrano nella definizione di agricoltura sociale quelle attività svolte dall’imprenditore agricolo (di cui all’art. 2135 del codice civile) in forma singola o associata, e dalle cooperative sociali che prevedono:

a) l’inserimento socio-lavorativo di lavoratori con disabilità (chiunque è riconosciuto tale dalla normativa nazionale o presenti menomazioni che possano ostacolare la partecipazione all’ambiente di lavoro) e lavoratori svantaggiati (non avere un impiego retribuito da almeno sei mesi; avere un’età compresa tra i 15 ed i 24 anni; non possedere un diploma di scuola superiore o aver completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni e non aver un impiego regolarmente retribuito; aver superato i 50 anni d’età; essere un adulto che vive solo con persone a carico; essere occupato in professioni caratterizzate da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media; appartenere ad una minoranza etnica), persone svantaggiate e minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione sociale;

b) prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali mediante l’utilizzazione delle risorse materiali e immateriali dell’agricoltura per promuovere, accompagnare e realizzare azioni volte allo sviluppo di abilità e di capacità, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione e di servizi utili per la vita quotidiana;

c) prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative finalizzate a migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati anche attraverso l’ausilio di animali allevati e la coltivazione delle piante;

d) progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, alla salvaguardia della biodiversità nonché alla diffusione della conoscenza del territorio attraverso l’organizzazione di fattorie sociali e didattiche riconosciute a livello regionale, quali iniziative di accoglienza e soggiorno di bambini in età prescolare e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica.

AMBIENTE

L’Italia è stata condannata per l’inesatta applicazione della Direttiva Rifiuti (Corte di giustizia dell’Unione Europea, sent. 16 luglio 2015, C-653/13).

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea con sentenza del 16 luglio 2015 causa C-653/13 Commissione/ Italia ha constatato che l’Italia non ha correttamente eseguito la sentenza del 2010 e l’ha condannata a pagare, da un lato, una penalità di EUR 120.000 per ciascun giorno di ritardo nell’attuazione della sentenza del 2010 e, dall’altro, una somma forfettaria di EUR 20 milioni.

Con una sentenza del 4 marzo 2010 Commissione/Italia (causa C-297/08) la Corte di Giustizia aveva infatti già concluso che l’Italia, non avendo creato una rete adeguata ed integrata di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti nelle vicinanze del luogo di produzione e non avendo adottato tutte le misure necessarie per evitare di mettere in pericolo la salute umana e di danneggiare l’ambiente nella regione Campania, era venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della c.d. direttiva rifiuti.

La direttiva 2006/12/CE relativa ai rifiuti ha l’obiettivo di proteggere la salute umana e l’ambiente. Gli Stati membri hanno il compito di assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, nonché di limitare la loro produzione, in particolare promuovendo tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili.

Essi devono in tal modo creare una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, che consenta all’Unione nel suo insieme e ai singoli Stati membri di garantire lo smaltimento dei rifiuti.

L’Italia ha trasposto la direttiva «rifiuti» nel 2006 e, per quanto riguarda la regione Campania, una legge regionale ha definito 18 zone territoriali omogenee in cui si doveva procedere alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nei rispettivi bacini.

In seguito alla ben nota situazione di crisi nello smaltimento dei rifiuti manifestatasi nella regione

Campania nel 2007, la Commissione propose un ricorso per inadempimento contro l’Italia, imputandole la mancata creazione, in quella regione, di una rete integrata ed adeguata di impianti atta a garantire l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti sulla base del criterio della prossimità geografica.

La Commissione riteneva infatti che tale situazione rappresentasse un pericolo per la salute umana e per l’ambiente.

Con la sentenza del 4 marzo 2010 , la Corte constatò che l’Italia era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva 2006/12.

Nell’ambito del controllo dell’esecuzione della sentenza della Corte, la Commissione è giunta alla conclusione che l’Italia non ha garantito un’attuazione corretta della prima sentenza ed ha così proposto un nuovo ricorso per inadempimento contro l’Italia.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea con sentenza del 16 luglio 2015 ha perciò constatato che l’Italia non ha correttamente eseguito la sentenza del 2010 e l’ha condannata a pagare, da un lato, una penalità di EUR 120.000 per ciascun giorno di ritardo nell’attuazione della sentenza del 2010 e, dall’altro, una somma forfettaria di EUR 20 milioni.

La Corte ha convalidato gli argomenti della Commissione, in particolare per quanto riguarda il problema dell’eliminazione delle «ecoballe» e il numero insufficiente di impianti aventi la capacità necessaria per il trattamento dei rifiuti urbani nella regione Campania. La Corte ha sottolineato inoltre che, tenuto conto delle notevoli carenze nella capacità della regione Campania di smaltire i propri rifiuti, è possibile dedurre che una siffatta grave insufficienza a livello regionale può compromettere la rete nazionale di impianti di smaltimento dei rifiuti, la quale cesserà così di presentare il carattere integrato e adeguato richiesto dalla direttiva. Ciò può compromettere seriamente la capacità dell’Italia di perseguire l’obiettivo dell’autosufficienza nazionale nello smaltimento dei rifiuti.

La Corte ha poi rilevato che l’inadempimento addebitato all’Italia si è protratto per più di cinque anni, il che costituisce un periodo considerevole.

Poiché dunque l’Italia non ha attuato correttamente la sentenza del 2010, la Corte ha deciso di infliggerle una penalità giornaliera e una somma forfettaria, in quanto dette sanzioni finanziarie costituiscono un mezzo appropriato al fine di garantire l’esecuzione integrale della prima sentenza.

Per quanto riguarda la penalità giornaliera di EUR 120000, questa è suddivisa in tre parti, ciascuna di un importo giornaliero di EUR 40. 000, calcolate per categoria di impianti (discariche, termovalorizzatori e impianti di trattamento dei rifiuti organici). Quanto alla somma forfettaria di EUR 20 milioni, la Corte ha tenuto conto, ai fini del calcolo della stessa, del fatto che un inadempimento dell’Italia in materia di rifiuti è stato constatato in più di 20 cause portate dinanzi alla Corte. Orbene, una simile reiterazione di condotte costituenti infrazione da parte di uno Stato membro in un settore specifico dell’azione dell’Unione può richiedere l’adozione di una misura dissuasiva, come la condanna al pagamento di una somma forfettaria.

ANTIRICICLAGGIO

Chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate in materia di Voluntary disclosure (Circolare Ag. Ent., 11 agosto 2015, n. 30/E).

E’ stata diffusa l’11 agosto 2015 la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 30/E che fornisce ulteriori precisazioni sull’applicazione delle misure introdotte dalla legge n. 186/2014 in materia di emersione e rientro di capitali illecitamente detenuti all’estero.

Dopo le prime indicazioni contenute nella circolare n. 10/E dello scorso marzo e in quella n. 27/E di luglio, la circolare n. 30/E dell’11 agosto fornisce ulteriori chiarimenti in merito all’ambito oggettivo della collaborazione volontaria, degli adempimenti a carico del contribuente, all’ambito temporale della procedura di collaborazione volontaria nonché degli aspetti sanzionatori.

DIRITTO UE

La Germania non puo’ mantenere i suoi valori limite per alcune sostanze chimiche presenti nei giocattoli. (Corte di giustizia dell’Unione Europea, sent. 9 luglio 2015 C- 360/14P).

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea con sentenza del 9 luglio 2015 C- 360/14P ha confermato la precedente decisione del Tribunale UE relativa al divieto, posto dalla Commissione alla Germania, di mantenere i suoi valori limite per alcune sostanze chimiche presenti nei giocattoli.

Nel 2009 l’Unione Europea ha adottato una nuova Direttiva Giocattoli nell’ambito della quale venivano fissati nuovi valori limite per talune sostanze chimiche presenti nei prodotti ludici, in particolare, metalli pesanti, arsenico, antimonio e mercurio.

La Germania, che aveva votato contro tale direttiva in seno al Consiglio, riteneva che i valori limite applicabili nel suo Paese per il piombo, il bario, l’antimonio, l’arsenico e il mercurio offrissero una migliore tutela, posto che tali valori corrispondevano alla precedente direttiva «giocattoli» del 1988. Chiedeva, dunque, alla Commissione l’autorizzazione a mantenere tali valori precedenti, ma con decisione del 1° marzo 2012 la Commissione respingeva tale richiesta con riferimento all’antimonio, l’arsenico e il mercurio, autorizzando, invece, il mantenimento dei valori limite tedeschi per il piombo e il bario ma solo fino al 21 luglio 2013.

La Germania proponeva, dunque, ricorso di annullamento avverso tale decisione. Con ordinanza del 15 maggio 2013 il presidente del Tribunale dell’Unione Europea ordinava alla Commissione di autorizzare il mantenimento dei cinque valori limite tedeschi fino alla Pronuncia di merito.

Con sentenza del 14 maggio 2014 il Tribunale dell’unione Europea respingeva il ricorso della Germania relativamente ai valori dell’arsenico, l’antimonio e il mercurio annullando, invece, la decisione della Commissione con riferimento al piombo.

La Germania si era, quindi, rivolta alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, pronunciandosi con sentenza del 9 luglio 2015, a sua volta, ha respinto nella sua integralità l’impugnazione del Paese.

La Corte ricorda che uno Stato membro, al fine di giustificare il mantenimento di disposizioni nazionali preesistenti, può invocare il fatto che esso valuti i rischi per la salute diversamente da come vi ha proceduto il legislatore dell’Unione nella misura di armonizzazione.

Possono legittimamente essere effettuate valutazioni divergenti di tali rischi, senza che esse siano necessariamente fondate su dati scientifici diversi o nuovi.

Spetta, tuttavia, allo Stato membro dimostrare che le sue disposizioni nazionali garantiscono un livello di tutela della salute più elevato rispetto alla misura di armonizzazione dell’Unione ma nel caso di specie la Germania non ha fornito tale prova.

DIRITTO DELL’INFORMATICA E DELL’INTERNET

Dichiarazione dei Diritti in Internet (28 luglio 2015 ).

E’ stata presentata il 28 luglio 2015 presso la Sala del Mappamondo di Palazzo Montecitorio la “Dichiarazione dei Diritti in Internet”. Promossa dalla Presidenza della Camera dei Deputati e dopo un anno di lavoro ad opera della Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet, la Carta intende porre l’attenzione sul tema dell’utente digitale, individuando una serie di principi generali che abbracciano le diverse tematiche connesse all’uso della rete.

Si legge nel preambolo che Internet ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato. L’Unione europea è oggi la regione del mondo dove è più elevata la tutela costituzionale dei dati personali, esplicitamente riconosciuta dall’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali, che costituisce il riferimento necessario per una specificazione dei principi riguardanti il funzionamento di Internet, anche in una prospettiva globale.

Questa Dichiarazione dei diritti in Internet è fondata sul pieno riconoscimento di libertà, eguaglianza, dignità e diversità di ogni persona ed è composta da 14 articoli concernenti il riconoscimento e garanzia dei diritti, il diritto all’accesso, il diritto alla conoscenza e all’educazione in rete, la neutralità della rete, la tutela dei dati personali, il diritto all’autodeterminazione informativa, il diritto all’inviolabilità dei sistemi, dei dispositivi e domicili informatici, il diritto all’identità, diritto all’oblio e alla sicurezza, il governo della rete.

DIRITTO PENALE

Consegna di assegni postdatati poi non onorati e truffa contrattuale

Qual è il confine tra semplice inadempimento contrattuale derivante dalla consegna – a titolo di pagamento – di assegni postdatati che poi non vengono onorati dall’emittente e la fattispecie di reato della truffa contrattuale? Del tema si è occupata nuovamente la Corte di Cassazione in una recente pronuncia.

Con la recente sentenza n. 33441/2015 del 29 luglio 2015 la Suprema Corte ha trattato il tema della delimitazione della fattispecie di truffa c.d. contrattuale e della differenza intercorrente tra quest’ultima e il mero inadempimento di un’obbligazione, avente ovviamente rilevanza solo civilistica.

La Corte ha preso in esame la seguente fattispecie: un imprenditore, nell’esercizio della propria attività, consegnava all’addetto alle vendita di un’azienda un assegno postdatato a titolo di pagamento di una fornitura di beni a lui necessari per l’esercizio della propria attività; alla data prestabilita per l’incasso, però, il titolo risultava non onorato per mancanza di fondi sul relativo conto corrente. Nell’ambito del rapporto, poi, si verificavano altre due circostanze: in primo luogo, al momento delle trattative l’imprenditore si prodigava in rassicurazioni circa la propria solvibilità e il fatto che alla data indicata sul titolo avrebbe avuto a disposizione liquidità sufficiente ad onorare la propria obbligazione; in secondo luogo, l’azienda dell’imprenditore circa un anno e mezzo dopo l’emissione dell’assegno poi risultato privo di copertura veniva dichiarata fallita.

A fronte della fattispecie sopra delineata, veniva esercitata a carico dell’imprenditore l’azione penale per il perseguimento del reato di truffa c.d. contrattuale: in primo grado il Tribunale di Lodi proscioglieva l’imputato, mentre in secondo grado la Corte d’Appello di Milano – ritenuta configurabile la fattispecie di truffa aggravata e ritenuta l’aggravante compensata dalle attenuanti generiche – gli infliggeva una condanna a mesi sei di reclusione ed euro 160,00 di multa, con risarcimento del danno a favore dell’impresa truffata da liquidarsi in sede civile.

Il ricorso per cassazione dell’imputato si basava sul rilievo della genericità della ricostruzione dei fatti fornita dal querelante, non sufficiente a fugare ogni ragionevole dubbio circa la sussistenza dell’elemento materiale del reato di truffa, e sulla circostanza che sarebbe trascorso un lasso di tempo troppo grande tra l’emissione dell’assegno e il fallimento della società, per ritenere provata in capo all’imputato la consapevolezza dello stato di decozione dell’impresa e – quindi – l’elemento soggettivo del reato.

La Corte, rimanendo nel solco del proprio orientamento, ha rigettato il ricorso sottolineando che integra il delitto di truffa, perché costituisce elemento di artificio o raggiro, la condotta di consegnare in pagamento, all’esito di una transazione commerciale, un assegno di conto corrente bancario postdatato, contestualmente fornendo al prenditore rassicurazioni circa la disponibilità futura della necessaria provvista finanziaria: elemento sufficiente a differenziare la condotta costituente reato dal semplice inadempimento civilistico sarebbero perciò state le rassicurazioni fornite all’addetto all’ufficio vendite dell’azienda al momento della consegna del titolo. A ciò si aggiunga, peraltro, che a detta della Corte sarebbe idonea a rafforzare il convincimento del giudice in punto di elemento psicologico del reato la circostanza che la società dell’imputato fallì dopo un lasso di tempo tale che lo stato di decozione della stessa non poteva certo essersi creato solo negli ultimi mesi: da tale evento, quindi, sarebbe desumibile anche la consapevolezza in capo all’imputato della propria incapacità di onorare l’obbligazione contratta e, perciò, l’elemento soggettivo del reato.

DIRITTO TRIBUTARIO

Le sanzioni amministrative-tributarie del de cuius non si trasmettono agli eredi in caso di pagamento rateale delle somme dovute in base agli istituti definitori dell’accertamento e deflattivi del contenzioso (Agenzia delle Entrate, Circolare n. 29/E del 07.08.2015).

Con la Circolare in commento l’Agenzia delle Entrate ha chiarito l’ambito di applicabilità del principio contenuto nell’art. 8 del Decreto Legislativo 18.12.1997, n. 472, secondo il quale: “L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi”.

In particolare, l’Amministrazione Finanziaria evidenzia come tale principio abbia carattere generale, così come di recente espresso dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha infatti statuito che: “La trasmissibilità delle sanzioni è prevista solo per le sanzioni civili (quale principio generale in materia di obbligazioni) e non per altre, per le quali opera l’opposto principio dell’instrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità” (Corte di Cass., sentenza n. 12754 del 06.06.2014).

Pertanto, non potrà essere richiesto agli eredi il pagamento delle sanzioni amministrative-tributarie, sia con riferimento alle violazioni commesse dal de cuius ed alla base degli atti di acquiescenza, adesione, reclamo-mediazione e conciliazione giudiziale, sia con riferimento alle somme dovute a titolo di sanzione per il ritardo nel pagamento delle rate ovvero in caso di decadenza dal beneficio del piano di rateazione. Al contrario, saranno dovute dagli eredi le sanzioni relative alle rate scadute e non onorate dopo la morte del de cuius.

A sostegno di questa tesi, l’Agenzia delle Entrate richiama la circolare n. 180 del 10.07.1998, con la quale si era già chiarito come l’intrasmissibilità delle sanzioni amministrative agli eredi operasse indipendentemente dal fatto che le stesse fossero già state irrogate con provvedimento definitivo.

Pertanto, acquisita la notizia del decesso del debitore direttamente ovvero su comunicazione degli eredi, l’Amministrazione Finanziaria dovrà predisporre e successivamente comunicare agli eredi il computo dei nuovi importi delle rate dovute al netto delle sanzioni gravanti sul de cuius. Solamente nel caso in cui gli eredi non effettuino il pagamento della rata entro il termine previsto, troveranno applicazione le sanzioni previste in caso di ritardato pagamento o di decadenza dalla rateazione.

PRIVACY

Richiesta o rinnovo della carta di identità: prevista la possibilità di inserire il consenso o il diniego alla donazione di organi (Garante Privacy, provvedimento 4 giugno 2015, n. 333).

Il Garante della Privacy, con provvedimento del 04.06.2015 n. 333, ha espresso parere positivo sullo schema di Linee guida emesse del Ministero della Salute riguardanti la facoltà per il cittadino di inserire sulla carta di identità il consenso o il diniego alla donazione di organi o di tessuti in caso di morte. Tale scelta potrà essere effettuata sulla carta di identità al momento della richiesta ovvero del rinnovo.

Nelle Linee guida sottoposte al parere del Garante Privacy vengono indicate le modalità operative ed organizzative per poter attuare la normativa che introduce questa nuova facoltà concessa al cittadino dietro sua espressa richiesta. In particolare, viene previsto che tale dichiarazione dovrà essere registrata dall’Ufficiale dell’Anagrafe insieme ai dati raccolti al momento della richiesta o del rinnovo del documento di identità e successivamente inviata al sistema informativo trapianti (Sit), così da poterla inserire in un’unica banca dati consultabile 24 ore su 24 dai centri per i trapianti. Il cittadino potrà revocare la dichiarazione annotata sul documento, sia recandosi in ogni momento presso apposite strutture (aziende ospedaliere, Asl, ambulatori etc.), sia in occasione del rinnovo del medesimo documento presso il Comune di residenza.

Il Garante della Privacy ha infatti espressamente sottolineato l’obbligo per l’Ufficiale dell’anagrafe di informare il cittadino della possibilità di poter modificare in qualsiasi momento la dichiarazione annotata, evidenziandogli anche i diritti riconosciuti dal Codice privacy.

SICUREZZA SUL LAVORO

Pubblicato il nuovo codice di prevenzione incendi (Decreto 3 agosto 2015, G.U., n. 192 del 20 agosto 2015 – Suppl. Ordinario n. 51).

Con Decreto del 3 agosto 2015 (Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’art. 15 del D. Lgs. 8 marzo 2006, n. 139) il Ministro dell’Interno ha emanato il nuovo codice di prevenzione incendi, con l’obiettivo di semplificare e razionalizzare l’attuale corpo normativo riguardante la prevenzione degli incendi.

Il decreto, che entrerà in vigore una volta decorsi 90 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, risulta composto da cinque articoli ed un allegato (suddiviso in quattro sezioni), riportando al suo interno le nuove norme tecniche di riferimento, i campi e le attività di applicazione.

In particolare, al fine di consentire l’introduzione del nuovo approccio con la necessaria gradualità, le norme tecniche (contenute nell’allegato 1) potranno trovare applicazione in alternativa alle specifiche disposizioni di prevenzione incendi contenute nei vari decreti emanati negli anni dal Ministro dell’Interno ed espressamente elencati nell’art. 1 del decreto 3 agosto 2015.

Il campo di applicazione del nuovo codice viene disciplinato dall’articolo 2, mentre l’articolo 3 si sofferma sull’impiego dei prodotti antincendio, sulla loro identificazione, qualificazione e conformità.

TRUST

Atti di disposizione a titolo gratuito: pignoramento senza revocatoria col nuovo art. 2929-bis c.c..

Il D.L. n. 83/2015 (c.d. Decreto Giustizia, conv. in L. n. 132/2015) tra le molte novità ha introdotto l’art. 2929-bis c.p.c., teso a disciplinare l’espropriazione di beni sottoposti a vincolo di indisponibilità oppure oggetti di atti di disposizione a titolo gratuito.

Il nuovo art. 2929-bis c.c. sancisce che il creditore munito di titolo esecutivo che affermi di essere danneggiato da un atto del debitore di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili registrati, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere all’esecuzione forzata, senza aver previamente agito con revocatoria avverso l’atto, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto. Tale previsione viene estesa dalla norma anche al soggetto che, vantando un credito anteriore all’atto di disposizione, entro un anno dalla trascrizione di quest’ultimo interviene nell’esecuzione da altri promossa. La norma, peraltro, prevede che quando il pregiudizio deriva da un atto di alienazione, il creditore debba promuovere l’azione esecutiva nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario.

Il debitore, il terzo sottoposto all’espropriazione e ogni altro soggetto interessato alla conservazione del vincolo possono contestare la sussistenza dei presupposti per il pignoramento, nonché la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore, mediante le azioni di opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi previste dal codice di procedura civile.

In sostanza, dunque, mediante la norma sopra citata il Legislatore ha concretamente operato un’inversione dell’onere della prova: in caso di azione revocatoria, infatti, il creditore deve dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’esperimento di tale azione, nel caso dell’art. 2929-bis c.c. il creditore munito di titolo esecutivo di agire direttamente con lo strumento del pignoramento ed è il debitore ad essere onerato, come di seguito vedremo, di provare la insussistenza dei presupposti (in particolare il danno) per l’impiego del pignoramento ex art. 2929-bis c.c..

Gli effetti dell’introduzione di questa norma nel codice civile paiono evidenti: da una parte, infatti, sarà molto più semplice per il creditore agire quando veda la garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio del proprio debitore erosa da suoi atti di disposizione a titolo gratuito; d’altra parte, però, la innovazione introdotta potrà seriamente minare la stabilità di tali atti nel primo anno dal compimento degli stessi, atteso che i beni oggetto degli stessi potranno essere oggetto di pignoramento da parte di qualsiasi creditore del disponente, pur se munito di titolo esecutivo.

DI TUTTO UN PO’

PROFESSIONISTI E IMPRESE

La ricerca telematica dei beni pignorabili.

La difficoltà nell’individuazione dei beni pignorabili spesso scoraggia il creditore dall’incardinare azioni esecutive per il recupero dei propri crediti: in tal senso, il Legislatore è intervenuto rendendo più semplice ed agevole tale operazione, permettendo la ricerca diretta di beni immobili, mobili, veicoli, conti correnti e stipendi nelle banche dati della Pubblica Amministrazione.

Come noto, oltre alle tempistiche e alla farraginosità della procedura esecutiva, spesso il creditore risulta disincentivato dal tentare il recupero coattivo del proprio credito a causa della difficoltà nell’individuazione dei beni di proprietà del debitore aggredibili con pignoramento: senza disporre di dati sicuri circa la consistenza patrimoniale del debitore, infatti, imbarcarsi in una esecuzione civile può significare per il creditore un discreto esborso economico e una grande perdita di tempo, senza certezza di veder soddisfatte le proprie pretese. In caso di crediti di una certa importanza il creditore può fare ricorso alle agenzie investigative che – a fronte di un esborso in alcuni casi abbastanza considerevole – permettono di venire a conoscenza di tali dati (in tutto o in parte). Quest’ultima via, però, in molti casi non risulta praticabile: si pensi al caso in cui l’entità del credito non giustifichi un esborso rilevante oppure all’ipotesi che i dati necessari non possano venire reperiti nemmeno dall’agenzia investigativa, solo per citare due esempi.

Per ovviare a tali problematiche il D.L. n. 132/2014 (conv. nella L. n. 162/2014) ha inserito nel codice di procedura civile il nuovo art. 492-bis, il quale prevede che il presidente del tribunale, su istanza del creditore, possa autorizzare l’ufficiale giudiziario a consultare le banche dati della Pubblica Amministrazione, quali l’anagrafe tributaria, l’archivio dei rapporti finanziari, il pubblico registro automobilistico e le banche dati degli enti previdenziali, per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti.

A causa della mancata emissione da parte del Ministero della Giustizia dei regolamenti attuativi di tale disposizione, essa era rimasta pressoché lettera morta. E’ dunque intervenuto il D.L. n. 83/2015 (conv. nella L. n. 132/2015), che ha aggiunto un comma all’art. 155-quinquies delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile: esso prevede che quando le strutture tecnologiche – necessarie a consentire l’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati di cui all’articolo 492-bis – non sono funzionanti, il creditore, previa autorizzazione del presidente del tribunale, può ottenere direttamente (quindi senza l’intervento dell’ufficiale giudiziario) dai gestori delle citate banche dati le informazioni in esse contenute. Tale disposizione perderà efficacia decorso un anno dalla entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 83/2015: in sostanza, la modifica introdotta appare una sorta di proroga, per permettere al legislatore di adottare i decreti attuativi senza frustrare nel frattempo le legittime aspirazioni dei creditori che tale decreto dovrebbe tutelare.

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