Novastudia Newsletter luglio/agosto 2015

SOMMARIO

 

ALIMENTI

Arriva la legge sull’agricoltura sociale (Disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati il 05 agosto 2015).

 

AMBIENTE

L’Italia è stata condannata per l’inesatta applicazione della Direttiva Rifiuti (Corte di giustizia dell’Unione Europea, sent. 16 luglio 2015, C-653/13).

 

ANTIRICICLAGGIO

Chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate in materia di Voluntary disclosure (Circolare Ag. Ent., 11 agosto 2015, n. 30/E).

 

DIRITTO UE

La Germania non può mantenere i suoi valori limite per alcune sostanze chimiche presenti nei giocattoli (Corte di giustizia dell’Unione Europea, sent. 9 luglio 2015 C- 360/14P).

 

DIRITTO DELL’INFORMATICA E DELL’INTERNET

Dichiarazione dei Diritti in Internet (28 luglio 2015).

 

DIRITTO PENALE

Consegna di assegni postdatati poi non onorati e truffa contrattuale (Cass. n. 33441/2015 del 29 luglio 2015).

 

DIRITTO TRIBUTARIO

Le sanzioni amministrative-tributarie del de cuius non si trasmettono agli eredi in caso di pagamento rateale delle somme dovute in base agli istituti definitori dell’accertamento e deflattivi del contenzioso (Agenzia delle Entrate, Circolare n. 29/E del 07.08.2015).

 

PRIVACY

Richiesta o rinnovo della carta di identità: prevista la possibilità di inserire il consenso o il diniego alla donazione di organi (Garante Privacy, provvedimento 4 giugno 2015, n. 333).

 

 

SICUREZZA SUL LAVORO

Pubblicato il nuovo codice di prevenzione incendi (Decreto 3 agosto 2015, G.U., n. 192 del 20 agosto 2015 Suppl. Ordinario n. 51).

 

TRUST

Atti di disposizione a titolo gratuito: pignoramento senza revocatoria col nuovo art. 2929-bis c.c.

 

 

DI TUTTO UN PO’

 

PROFESSIONISTI E IMPRESE

La ricerca telematica dei beni pignorabili.

 

ALIMENTI

Arriva la legge sull’agricoltura sociale (Disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati il 05 agosto 2015).

E’ stato approvato dalla Camera il 5 agosto il disegno di legge sull’agricoltura sociale che intende valorizzare il ruolo multifunzionale dell’impresa agricola chiamata così a fornire servizi socio-sanitari ed educativi attraverso l’inserimento socio-lavorativo nelle aree rurali.

Secondo il disegno di legge approvata rientrano nella definizione di agricoltura sociale quelle attività svolte dall’imprenditore agricolo (di cui all’art. 2135 del codice civile) in forma singola o associata, e dalle cooperative sociali che prevedono:

  1. a) l’inserimento socio-lavorativo di lavoratori con disabilità (chiunque è riconosciuto tale dalla normativa nazionale o presenti menomazioni che possano ostacolare la partecipazione all’ambiente di lavoro) e lavoratori svantaggiati (non avere un impiego retribuito da almeno sei mesi; avere un’età compresa tra i 15 ed i 24 anni; non possedere un diploma di scuola superiore o aver completato la formazione a tempo pieno da non pi?’? di due anni e non aver un impiego regolarmente retribuito; aver superato i 50 anni d’età; essere un adulto che vive solo con persone a carico; essere occupato in professioni caratterizzate da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media; appartenere ad una minoranza etnica), persone svantaggiate e minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione sociale;
  2. b) prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali mediante l’utilizzazione delle risorse materiali e immateriali dell’agricoltura per promuovere, accompagnare e realizzare azioni volte allo sviluppo di abilità e di capacità, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione e di servizi utili per la vita quotidiana;
  3. c) prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative finalizzate a migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati anche attraverso l’ausilio di animali allevati e la coltivazione delle piante;
  4. d) progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, alla salvaguardia della biodiversità nonché alla diffusione della conoscenza del territorio attraverso l’organizzazione di fattorie sociali e didattiche riconosciute a livello regionale, quali iniziative di accoglienza e soggiorno di bambini in età prescolare e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica.

 

AMBIENTE

L’Italia è stata condannata per l’inesatta applicazione della Direttiva Rifiuti (Corte di giustizia dell’Unione Europea, sent. 16 luglio 2015, C-653/13).

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea con sentenza del 16 luglio 2015 causa C-653/13 Commissione/Italia ha constatato che l’Italia non ha correttamente eseguito la sentenza del 2010 e l’ha condannata a pagare, da un lato, una penalità di EUR 120.000 per ciascun giorno di ritardo nell’attuazione della sentenza del 2010 e, dall’altro, una somma forfettaria di EUR 20 milioni.

Con una sentenza del 4 marzo 2010 Commissione/Italia (causa C-297/08) la Corte di Giustizia aveva infatti già concluso che l’Italia, non avendo creato una rete adeguata ed integrata di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti nelle vicinanze del luogo di produzione e non avendo adottato tutte le misure necessarie per evitare di mettere in pericolo la salute umana e di danneggiare l’ambiente nella regione Campania, era venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della c.d. direttiva rifiuti.

La direttiva 2006/12/CE relativa ai rifiuti ha l’obiettivo di proteggere la salute umana e l’ambiente. Gli Stati membri hanno il compito di assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, nonché di limitare la loro produzione, in particolare promuovendo tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili.

Essi devono in tal modo creare una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, che consenta all’Unione nel suo insieme e ai singoli Stati membri di garantire lo smaltimento dei rifiuti.

L’Italia ha trasposto la direttiva «rifiuti» nel 2006 e, per quanto riguarda la regione Campania, una legge regionale ha definito 18 zone territoriali omogenee in cui si doveva procedere alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nei rispettivi bacini.

In seguito alla ben nota situazione di crisi nello smaltimento dei rifiuti manifestatasi nella regione

Campania nel 2007, la Commissione propose un ricorso per inadempimento contro l’Italia, imputandole la mancata creazione, in quella regione, di una rete integrata ed adeguata di impianti atta a garantire l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti sulla base del criterio della prossimità geografica.

La Commissione riteneva infatti che tale situazione rappresentasse un pericolo per la salute umana e per l’ambiente.

Con la sentenza del 4 marzo 2010, la Corte constatò che l’Italia era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva 2006/12.

Nell’ambito del controllo dell’esecuzione della sentenza della Corte, la Commissione è giunta alla conclusione che l’Italia non ha garantito un’attuazione corretta della prima sentenza ed ha così proposto un nuovo ricorso per inadempimento contro l’Italia.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea con sentenza del 16 luglio 2015 ha perciò constatato che l’Italia non ha correttamente eseguito la sentenza del 2010 e l’ha condannata a pagare, da un lato, una penalità di EUR 120.000 per ciascun giorno di ritardo nell’attuazione della sentenza del 2010 e, dall’altro, una somma forfettaria di EUR 20 milioni.

La Corte ha convalidato gli argomenti della Commissione, in particolare per quanto riguarda il problema dell’eliminazione delle «ecoballe» e il numero insufficiente di impianti aventi la capacità necessaria per il trattamento dei rifiuti urbani nella regione Campania. La Corte ha sottolineato inoltre che, tenuto conto delle notevoli carenze nella capacità della regione Campania di smaltire i propri rifiuti, è possibile dedurre che una siffatta grave insufficienza a livello regionale può compromettere la rete nazionale di impianti di smaltimento dei rifiuti, la quale cesserà così di presentare il carattere integrato e adeguato richiesto dalla direttiva. Ciò può compromettere seriamente la capacità dell’Italia di perseguire l’obiettivo dell’autosufficienza nazionale nello smaltimento dei rifiuti.

La Corte ha poi rilevato che l’inadempimento addebitato all’Italia si è protratto per più di cinque anni, il che costituisce un periodo considerevole.

Poiché dunque l’Italia non ha attuato correttamente la sentenza del 2010, la Corte ha deciso di infliggerle una penalità giornaliera e una somma forfettaria, in quanto dette sanzioni finanziarie costituiscono un mezzo appropriato al fine di garantire l’esecuzione integrale della prima sentenza.

Per quanto riguarda la penalità giornaliera di € 120.000, questa è suddivisa in tre parti, ciascuna di un importo giornaliero di € 40.000, calcolate per categoria di impianti (discariche, termovalorizzatori e impianti di trattamento dei rifiuti organici). Quanto alla somma forfettaria di € 20 milioni, la Corte ha tenuto conto, ai fini del calcolo della stessa, del fatto che un inadempimento dell’Italia in materia di rifiuti è stato constatato in più di 20 cause portate dinanzi alla Corte. Orbene, una simile reiterazione di condotte costituenti infrazione da parte di uno Stato membro in un settore specifico dell’azione dell’Unione può richiedere l’adozione di una misura dissuasiva, come la condanna al pagamento di una somma forfettaria.

 

ANTIRICICLAGGIO

Chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate in materia di Voluntary disclosure (Circolare Ag. Ent., 11 agosto 2015, n. 30/E).

È stata diffusa l’11 agosto 2015 la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 30/E che fornisce ulteriori precisazioni sull’applicazione delle misure introdotte dalla legge n. 186/2014 in materia di emersione e rientro di capitali illecitamente detenuti all’estero.

Dopo le prime indicazioni contenute nella circolare n. 10/E dello scorso marzo e in quella n. 27/E di luglio, la circolare n. 30/E dell’11 agosto fornisce ulteriori chiarimenti in merito all’ambito oggettivo della collaborazione volontaria, degli adempimenti a carico del contribuente, all’ambito temporale della procedura di collaborazione volontaria nonché degli aspetti sanzionatori.

 

 

DIRITTO UE

La Germania non può mantenere i suoi valori limite per alcune sostanze chimiche presenti nei giocattoli. (Corte di giustizia dell’Unione Europea, sent. 9 luglio 2015 C- 360/14P).

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea con sentenza del 9 luglio 2015 C- 360/14P ha confermato la precedente decisione del Tribunale UE relativa al divieto, posto dalla Commissione alla Germania, di mantenere i suoi valori limite per alcune sostanze chimiche presenti nei giocattoli.

Nel 2009 l’Unione Europea ha adottato una nuova Direttiva Giocattoli nell’ambito della quale venivano fissati nuovi valori limite per talune sostanze chimiche presenti nei prodotti ludici, in particolare, metalli pesanti, arsenico, antimonio e mercurio.

La Germania, che aveva votato contro tale direttiva in seno al Consiglio, riteneva che i valori limite applicabili nel suo Paese per il piombo, il bario, l’antimonio, l’arsenico e il mercurio offrissero una migliore tutela, posto che tali valori corrispondevano alla precedente direttiva «giocattoli» del 1988. Chiedeva, dunque, alla Commissione l’autorizzazione a mantenere tali valori precedenti, ma con decisione del 1° marzo 2012 la Commissione respingeva tale richiesta con riferimento all’antimonio, l’arsenico e il mercurio, autorizzando, invece, il mantenimento dei valori limite tedeschi per il piombo e il bario ma solo fino al 21 luglio 2013.

La Germania proponeva, dunque, ricorso di annullamento avverso tale decisione. Con ordinanza del 15 maggio 2013 il presidente del Tribunale dell’Unione Europea ordinava alla Commissione di autorizzare il mantenimento dei cinque valori limite tedeschi fino alla Pronuncia di merito.

Con sentenza del 14 maggio 2014 il Tribunale dell’unione Europea respingeva il ricorso della Germania relativamente ai valori dell’arsenico, l’antimonio e il mercurio annullando, invece, la decisione della Commissione con riferimento al piombo.

La Germania si era, quindi, rivolta alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, pronunciandosi con sentenza del 9 luglio 2015, a sua volta, ha respinto nella sua integralità l’impugnazione del Paese.

La Corte ricorda che uno Stato membro, al fine di giustificare il mantenimento di disposizioni nazionali preesistenti, può invocare il fatto che esso valuti i rischi per la salute diversamente da come vi ha proceduto il legislatore dell’Unione nella misura di armonizzazione.

Possono legittimamente essere effettuate valutazioni divergenti di tali rischi, senza che esse siano necessariamente fondate su dati scientifici diversi o nuovi.

Spetta, tuttavia, allo Stato membro dimostrare che le sue disposizioni nazionali garantiscono un livello di tutela della salute più elevato rispetto alla misura di armonizzazione dell’Unione ma nel caso di specie la Germania non ha fornito tale prova.

 

DIRITTO DELL’INFORMATICA E DELL’INTERNET

Dichiarazione dei Diritti in Internet (28 luglio 2015).

È stata presentata il 28 luglio 2015 presso la Sala del Mappamondo di Palazzo Montecitorio la “Dichiarazione dei Diritti in Internet”. Promossa dalla Presidenza della Camera dei Deputati e dopo un anno di lavoro ad opera della Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet, la Carta intende porre l’attenzione sul tema dell’utente digitale, individuando una serie di principi generali che abbracciano le diverse tematiche connesse all’uso della rete.

Si legge nel preambolo che Internet ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato. L’Unione europea è oggi la regione del mondo dove è più elevata la tutela costituzionale dei dati personali, esplicitamente riconosciuta dall’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali, che costituisce il riferimento necessario per una specificazione dei principi riguardanti il funzionamento di Internet, anche in una prospettiva globale.

Questa Dichiarazione dei diritti in Internet è fondata sul pieno riconoscimento di libertà, eguaglianza, dignità e diversità di ogni persona ed è composta da 14 articoli concernenti il riconoscimento e garanzia dei diritti, il diritto all’accesso, il diritto alla conoscenza e all’educazione in rete, la neutralità della rete, la tutela dei dati personali, il diritto all’autodeterminazione informativa, il diritto all’inviolabilità dei sistemi, dei dispositivi e domicili informatici, il diritto all’identità , diritto all’oblio e alla sicurezza, il governo della rete.

 

 

DIRITTO PENALE

Consegna di assegni postdatati poi non onorati e truffa contrattuale.

Qual è il confine tra semplice inadempimento contrattuale derivante dalla consegna “a titolo di pagamento” di assegni postdatati che poi non vengono onorati dall’emittente e la fattispecie di reato della truffa contrattuale? Del tema si è occupata nuovamente la Corte di Cassazione in una recente pronuncia.

Con la recente sentenza n. 33441/2015 del 29 luglio 2015 la Suprema Corte ha trattato il tema della delimitazione della fattispecie di truffa c.d. contrattuale e della differenza intercorrente tra quest’ultima e il mero inadempimento di un’obbligazione, avente ovviamente rilevanza solo civilistica.

La Corte ha preso in esame la seguente fattispecie: un imprenditore, nell’esercizio della propria attività, consegnava all’addetto alle vendite di un’azienda un assegno postdatato a titolo di pagamento di una fornitura di beni a lui necessari per l’esercizio della propria attività; alla data prestabilita per l’incasso, però, il titolo risultava non onorato per mancanza di fondi sul relativo conto corrente. Nell’ambito del rapporto, poi, si verificavano altre due circostanze: in primo luogo, al momento delle trattative l’imprenditore si prodigava in rassicurazioni circa la propria solvibilità e il fatto che alla data indicata sul titolo avrebbe avuto a disposizione liquidità sufficiente ad onorare la propria obbligazione; in secondo luogo, l’azienda dell’imprenditore circa un anno e mezzo dopo l’emissione dell’assegno poi risultato privo di copertura veniva dichiarata fallita.

A fronte della fattispecie sopra delineata, veniva esercitata a carico dell’imprenditore l’azione penale per il perseguimento del reato di truffa c.d. contrattuale: in primo grado il Tribunale di Lodi proscioglieva l’imputato, mentre in secondo grado la Corte d’Appello di Milano “ritenuta configurabile la fattispecie di truffa aggravata e ritenuta l’aggravante compensata dalle attenuanti generiche” gli infliggeva una condanna a mesi sei di reclusione ed euro 160,00 di multa, con risarcimento del danno a favore dell’impresa truffata da liquidarsi in sede civile.

Il ricorso per cassazione dell’imputato si basava sul rilievo della genericità della ricostruzione dei fatti fornita dal querelante, non sufficiente a fugare ogni ragionevole dubbio circa la sussistenza dell’elemento materiale del reato di truffa, e sulla circostanza che sarebbe trascorso un lasso di tempo troppo grande tra l’emissione dell’assegno e il fallimento della società , per ritenere provata in capo all’imputato la consapevolezza dello stato di decozione dell’impresa e “quindi” l’elemento soggettivo del reato.

La Corte, rimanendo nel solco del proprio orientamento, ha rigettato il ricorso sottolineando che integra il delitto di truffa, perché costituisce elemento di artificio o raggiro, la condotta di consegnare in pagamento, all’esito di una transazione commerciale, un assegno di conto corrente bancario postdatato, contestualmente fornendo al prenditore rassicurazioni circa la disponibilità futura della necessaria provvista finanziaria: elemento sufficiente a differenziare la condotta costituente reato dal semplice inadempimento civilistico sarebbero perciò state le rassicurazioni fornite all’addetto all’ufficio vendite dell’azienda al momento della consegna del titolo. A ciò si aggiunga, peraltro, che a detta della Corte sarebbe idonea a rafforzare il convincimento del giudice in punto di elemento psicologico del reato la circostanza che la società dell’imputato fallì dopo un lasso di tempo tale che lo stato di decozione della stessa non poteva certo essersi creato solo negli ultimi mesi: da tale evento, quindi, sarebbe desumibile anche la consapevolezza in capo all’imputato della propria incapacità di onorare l’obbligazione contratta e, perciò, l’elemento soggettivo del reato.

 

DIRITTO TRIBUTARIO

Le sanzioni amministrative-tributarie del de cuius non si trasmettono agli eredi in caso di pagamento rateale delle somme dovute in base agli istituti definitori dell’accertamento e deflattivi del contenzioso (Agenzia delle Entrate, Circolare n. 29/E del 07.08.2015).

 

Con la Circolare in commento l’Agenzia delle Entrate ha chiarito l’ambito di applicabilità del principio contenuto nell’art. 8 del Decreto Legislativo 18.12.1997, n. 472, secondo il quale: “L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi.”

In particolare, l’Amministrazione Finanziaria evidenzia come tale principio abbia carattere generale, così come di recente espresso dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha infatti statuito che: “La trasmissibilità delle sanzioni è prevista solo per le sanzioni civili (quale principio generale in materia di obbligazioni) e non per altre, per le quali opera l’opposto principio dell’intrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità” (Corte di Cass., sentenza n. 12754 del 06.06.2014).

Pertanto, non potrà essere richiesto agli eredi il pagamento delle sanzioni amministrative-tributarie, sia con riferimento alle violazioni commesse dal de cuius ed alla base degli atti di acquiescenza, adesione, reclamo-mediazione e conciliazione giudiziale, sia con riferimento alle somme dovute a titolo di sanzione per il ritardo nel pagamento delle rate ovvero in caso di decadenza dal beneficio del piano di rateazione. Al contrario, saranno dovute dagli eredi le sanzioni relative alle rate scadute e non onorate dopo la morte del de cuius.

A sostegno di questa tesi, l’Agenzia delle Entrate richiama la circolare n. 180 del 10.07.1998, con la quale si era già chiarito come l’intrasmissibilità delle sanzioni amministrative agli eredi operasse indipendentemente dal fatto che le stesse fossero già state irrogate con provvedimento definitivo.

Pertanto, acquisita la notizia del decesso del debitore direttamente ovvero su comunicazione degli eredi, l’Amministrazione Finanziaria dovrà predisporre e successivamente comunicare agli eredi il computo dei nuovi importi delle rate dovute al netto delle sanzioni gravanti sul de cuius. Solamente nel caso in cui gli eredi non effettuino il pagamento della rata entro il termine previsto, troveranno applicazione le sanzioni previste in caso di ritardato pagamento o di decadenza dalla rateazione.

 

PRIVACY

Richiesta o rinnovo della carta di identità: prevista la possibilità di inserire il consenso o il diniego alla donazione di organi (Garante Privacy, provvedimento 4 giugno 2015, n. 333).

 

Il Garante della Privacy, con provvedimento del 04.06.2015 n. 333, ha espresso parere positivo sullo schema di Linee guida emesse del Ministero della Salute riguardanti la facoltà per il cittadino di inserire sulla carta di identità il consenso o il diniego alla donazione di organi o di tessuti in caso di morte. Tale scelta potrà essere effettuata sulla carta di identità al momento della richiesta ovvero del rinnovo.

Nelle Linee guida sottoposte al parere del Garante Privacy vengono indicate le modalità operative ed organizzative per poter attuare la normativa che introduce questa nuova facoltà concessa al cittadino dietro sua espressa richiesta. In particolare, viene previsto che tale dichiarazione dovrà essere registrata dall’Ufficiale dell’Anagrafe insieme ai dati raccolti al momento della richiesta o del rinnovo del documento di identità e successivamente inviata al sistema informativo trapianti (Sit), così da poterla inserire in un’unica banca dati consultabile 24 ore su 24 dai centri per i trapianti. Il cittadino potrà revocare la dichiarazione annotata sul documento, sia recandosi in ogni momento presso apposite strutture (aziende ospedaliere, Asl, ambulatori etc.), sia in occasione del rinnovo del medesimo documento presso il Comune di residenza.

Il Garante della Privacy ha infatti espressamente sottolineato l’obbligo per l’Ufficiale dell’anagrafe di informare il cittadino della possibilità di poter modificare in qualsiasi momento la dichiarazione annotata, evidenziandogli anche i diritti riconosciuti dal Codice privacy.

 

 

 

SICUREZZA SUL LAVORO

Pubblicato il nuovo codice di prevenzione incendi (Decreto 3 agosto 2015, G.U., n. 192 del 20 agosto 2015 Suppl. Ordinario n. 51).

 

Con Decreto del 3 agosto 2015 (Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’art. 15 del D. Lgs. 8 marzo 2006, n. 139) il Ministro dell’Interno ha emanato il nuovo codice di prevenzione incendi, con l’obiettivo di semplificare e razionalizzare l’attuale corpo normativo riguardante la prevenzione degli incendi.

Il decreto, che entrerà in vigore una volta decorsi 90 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, risulta composto da cinque articoli ed un allegato (suddiviso in quattro sezioni), riportando al suo interno le nuove norme tecniche di riferimento, i campi e le attività di applicazione.

In particolare, al fine di consentire l’introduzione del nuovo approccio con la necessaria gradualità, le norme tecniche (contenute nell’allegato 1) potranno trovare applicazione in alternativa alle specifiche disposizioni di prevenzione incendi contenute nei vari decreti emanati negli anni dal Ministro dell’Interno ed espressamente elencati nell’art. 1 del decreto 3 agosto 2015.

Il campo di applicazione del nuovo codice viene disciplinato dall’articolo 2, mentre l’articolo 3 si sofferma sull’impiego dei prodotti antincendio, sulla loro identificazione, qualificazione e conformità.

 

TRUST

Atti di disposizione a titolo gratuito: pignoramento senza revocatoria col nuovo art. 2929-bis c.c.

Il D.L. n. 83/2015 (c.d. Decreto Giustizia, conv. in L. n. 132/2015) tra le molte novità ha introdotto l’art. 2929-bis c.p.c., teso a disciplinare l’espropriazione di beni sottoposti a vincolo di indisponibilità oppure oggetti di atti di disposizione a titolo gratuito.

Il nuovo art. 2929-bis c.c. sancisce che il creditore munito di titolo esecutivo che affermi di essere danneggiato da un atto del debitore di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili registrati, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere all’esecuzione forzata, senza aver previamente agito con revocatoria avverso l’atto, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto. Tale previsione viene estesa dalla norma anche al soggetto che, vantando un credito anteriore all’atto di disposizione, entro un anno dalla trascrizione di quest’ultimo interviene nell’esecuzione da altri promossa. La norma, peraltro, prevede che quando il pregiudizio deriva da un atto di alienazione, il creditore debba promuovere l’azione esecutiva nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario.

Il debitore, il terzo sottoposto all’espropriazione e ogni altro soggetto interessato alla conservazione del vincolo possono contestare la sussistenza dei presupposti per il pignoramento, nonché la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore, mediante le azioni di opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi previste dal codice di procedura civile.

In sostanza, dunque, mediante la norma sopra citata il Legislatore ha concretamente operato un’inversione dell’onere della prova: in caso dell’azione revocatoria, infatti, il creditore deve dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’esperimento di tale azione, nel caso dell’art. 2929-bis c.c. il creditore munito di titolo esecutivo di agire direttamente con lo strumento del pignoramento ed è il debitore ad essere onerato, come di seguito vedremo, di provare la insussistenza dei presupposti (in particolare il danno) per l’impiego del pignoramento ex art. 2929-bis c.c..

Gli effetti dell’introduzione di questa norma nel codice civile paiono evidenti: da una parte, infatti, sarà molto più semplice per il creditore agire quando veda la garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio del proprio debitore erosa da suoi atti di disposizione a titolo gratuito; d’altra parte, però, la innovazione introdotta potrà seriamente minare la stabilità di tali atti nel primo anno dal compimento degli stessi, atteso che i beni oggetto degli stessi potranno essere oggetto di pignoramento da parte di qualsiasi creditore del disponente, pur se munito di titolo esecutivo.

 

DI TUTTO UN PO’

 

PROFESSIONISTI E IMPRESE

La ricerca telematica dei beni pignorabili.

 

La difficoltà nell’individuazione dei beni pignorabili spesso scoraggia il creditore dall’incardinare azioni esecutive per il recupero dei propri crediti: in tal senso, il Legislatore è intervenuto rendendo più semplice ed agevole tale operazione, permettendo la ricerca diretta di beni immobili, mobili, veicoli, conti correnti e stipendi nelle banche dati della Pubblica Amministrazione.

Come noto, oltre alle tempistiche e alla farraginosità della procedura esecutiva, spesso il creditore risulta disincentivato dal tentare il recupero coattivo del proprio credito a causa della difficoltà nell’individuazione dei beni di proprietà del debitore aggredibili con pignoramento: senza disporre di dati sicuri circa la consistenza patrimoniale del debitore, infatti, imbarcarsi in una esecuzione civile può significare per il creditore un discreto esborso economico e una grande perdita di tempo, senza certezza di veder soddisfatte le proprie pretese. In caso di crediti di una certa importanza il creditore può fare ricorso alle agenzie investigative che “a fronte di un esborso in alcuni casi abbastanza considerevole” permettono di venire a conoscenza di tali dati (in tutto o in parte). Quest’ultima via, però, in molti casi non risulta praticabile: si pensi al caso in cui l’entità del credito non giustifichi un esborso rilevante oppure all’ipotesi che i dati necessari non possano venire reperiti nemmeno dall’agenzia investigativa, solo per citare due esempi.

Per ovviare a tali problematiche il D.L. n. 132/2014 (conv. nella L. n. 162/2014) ha inserito nel codice di procedura civile il nuovo art. 492-bis, il quale prevede che il presidente del tribunale, su istanza del creditore, possa autorizzare l’ufficiale giudiziario a consultare le banche dati della Pubblica Amministrazione, quali l’anagrafe tributaria, l’archivio dei rapporti finanziari, il pubblico registro automobilistico e le banche dati degli enti previdenziali, per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti.

A causa della mancata emissione da parte del Ministero della Giustizia dei regolamenti attuativi di tale disposizione, essa era rimasta pressoché lettera morta. E’ dunque intervenuto il D.L. n. 83/2015 (conv. nella L. n. 132/2015), che ha aggiunto un comma all’art. 155-quinquies delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile: esso prevede che quando le strutture tecnologiche – necessarie a consentire l’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati di cui all’articolo 492-bis – non sono funzionanti, il creditore, previa autorizzazione del presidente del tribunale, può ottenere direttamente (quindi senza l’intervento dell’ufficiale giudiziario) dai gestori delle citate banche dati le informazioni in esse contenute. Tale disposizione perderà efficacia decorso un anno dalla entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 83/2015: in sostanza, la modifica introdotta appare una sorta di proroga, per permettere al legislatore di adottare i decreti attuativi senza frustrare nel frattempo le legittime aspirazioni dei creditori che tale decreto dovrebbe tutelare.

 

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Newsletter a cura di Novastudia Milano:

milano@novastudia.com

 

Il presente documento è una nota di studio. Quanto nello stesso riportato non potrà pertanto essere utilizzato o interpretato quale parere legale né utilizzato a base di operazioni straordinarie, né preso a riferimento da un qualsiasi soggetto o dai suoi consulenti legali per qualsiasi scopo che non sia un’analisi generale e sommaria delle questioni in esso affrontate.


Novastudia Newsletter aprile 2015

SOMMARIO

 

ALIMENTI

Ogm: confermato anche dalla giurisprudenza il divieto di coltivazione del mon810 (Cass., sez. III Pen., sent. 16 aprile 2015, n. 15834).

 

AMBIENTE

L’appaltatore è , di regola, il produttore del rifiuto (Cass., sez. III Pen., sent. 26 marzo 2015 n. 12971).

 

ANTIRICICLAGGIO

Riciclaggio: èsufficiente il mero trasferimento fra conti correnti dei fondi provenienti da reato (Cass., sez. II Penale, sent. 13 marzo 2015, n. 10746).

 

DIRITTO UE

L’assicuratore èobbligato a comunicare informazioni supplementari al cliente (Corte Giust. UE, Sez. V, sent. 29 aprile 2015, causa C-51/13).

 

DIRITTO DELL’INFORMATICA E DELL’INTERNET

Il reato informatico si verifica nel luogo dell’accesso abusivo (Cass., SS.UU. Penali, sent. 24 aprile 2015, n. 17325).

 

DIRITTO DEL LAVORO

Ai fini della liquidazione equitativa del danno da demansionamento, il giudice deve tener conto dell’insieme dei pregiudizi sofferti (Cass., sez. Lavoro, sent. 28 aprile 2015, n. 8581).

 

DIRITTO PENALE

La custodia cautelare in carcere come extrema ratio (Legge 16 aprile 2015, n. 47, “modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari”, in G.U. n. 94 del 23 aprile 2015).

 

DIRITTO TRIBUTARIO

Accertamento fiscale: la Lista Falciani è utilizzabile come prova dell’evasione (Cass., sez. VI Civile T, ord. 28 aprile 2015, n. 8606).

 

MARCHI E BREVETTI

Merce visibilmente falsa, la fiducia che il consumatore ripone nel bene non subisce alcun nocumento (Cass., sez. II Pen., sent. 8 aprile 2015 n. 14090/15).

 

PRIVACY

Internet delle cose e i potenziali rischi per la tutela della privacy (Comunicato Garante Privacy 28 aprile 2015).

 

RESPONSABILITA’ DEGLI ENTI

L’ambiente di lavoro in cui operano stabilmente più lavoratori dipendenti da datori di lavoro diversi (Cass., sez. III Pen., sent. 24 aprile 2015, n. 17119).

 

SICUREZZA SUL LAVORO

La titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante (Cass., sent. 27 gennaio 2015, n. 3786).

 

TRUST

Aver costituito un trust è irrilevante ai fini di potersi legittimamente opporre a un sequestro (Cass., sez. II Pen., sent.16 aprile 2015, n.15804).

 

DI TUTTO UN PO’

 

DIRITTO DI FAMIGLIA

Il c.d. “Divorzio Breve” è legge.

 

INCENTIVI

Incentivi per i contratti di sviluppo.

 

PROFESSIONISTI E IMPRESE

Il Registro Imprese parla inglese.

 

ALIMENTI

Ogm: confermato anche dalla giurisprudenza il divieto di coltivazione del mon810 (Cass., sez. III Pen., sent. 16 aprile 2015, n. 15834).

 

La Corte di Cassazione con sentenza n. 15834 depositata il 16 aprile 2015 ha confermato il provvedimento emesso dal GIP presso il Tribunale di Pordenone che disponeva il sequestro preventivo di due terreni utilizzati per la coltivazione di mais OGM 810, in relazione al reato di cui all’art. 4, co. 8, d.L. 91/2014. Il Tribunale di Pordenone, chiamato a pronunciarsi sulla istanza di riesame interposta nell’interesse dell’indagato, con ordinanza del 22 settembre 2014, disponeva a sua volta il mantenimento della misura cautelare in atto.

Gli ermellini hanno confermato divieto di coltivazione mon810 sostenendo che la direttiva 2001/18 CE del Parlamento Europeo e del Consiglio fissa la normativa che presiede alle forme di utilizzo e di circolazione degli OGM, che persegue la finalità di garantire la tutela dell’ambiente, della vita e della salute degli uomini, degli animali e delle piante, assicurando che la immissione in campo aperto e la vendita dei prodotto autorizzato non possano essere impedite, posto che, fino a prova contraria, tale prodotto non va considerato un pericolo.

Gli Stati membri possono opporsi alla circolazione dei soli organismi non autorizzati e ad essi è vietato impedire o anche soltanto limitare la immissione in commercio o nell’ambiente di un OGM tranne nei casi previsti dalla c.d. “clausola di salvaguardia” (art. 23). È prevista, infatti, la possibilità per gli Stati comunitari di adottare tutte le misure opportune:

– per evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati (OGM) in altri prodotti (c.d. misure di coesistenza);

– per evitare la presenza dei primi in altre colture, come quelle convenzionali o biologiche;

– prevenire l’impatto della eventuale commistione, che impedirebbe ai produttori e ai consumatori di scegliere tra produzione convenzionale e geneticamente modificata;

prevenire la potenziale perdita economica che verrebbe indotta dalla presenza involontaria di OGM in altri prodotti.

AMBIENTE

L’appaltatore è, di regola, il produttore del rifiuto (Cass., sez. III Pen., sent. 26 marzo 2015 n. 12971).

 

La Corte di Cassazione con sentenza depositata il 26 marzo 2015 n. 12971 ha chiarito che il committente non ha alcun potere giuridico di impedire l’evento del reato di abusiva gestione dei rifiuti commesso dall’appaltatore, poiché ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori nel suo interesse ai sensi dell’articolo 1662 c.c., ad esempio verificando la conformità dei materiali utilizzati a quelli pattuiti o l’esecuzione delle opere a regola d’arte ma non gli è consentito di interferire sullo svolgimento dei lavori a tutela degli interessi ambientali, salvo nel caso in cui questi coincidano col suo interesse contrattuale. Ha la facoltà di controllare la qualità dei materiali utilizzati per il riempimento del terreno ma non il potere (né certamente l’obbligo) di chiedere all’appaltatore se è abilitato allo smaltimento dei rifiuti e, tanto meno, di impedire all’appaltatore non autorizzato di smaltire i rifiuti che lui utilizza per lo svolgimento dell’appalto. In tema di reati ambientali, l’appaltatore, in ragione della natura del rapporto contrattuale, che lo vincola al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, è, di regola, il produttore del rifiuto. Su di lui gravano, quindi, i relativi oneri, pur potendosi verificare casi in cui, per la particolarità dell’obbligazione assunta, o per la condotta del committente, concretatasi in ingerenza o controllo diretto sull’attività dell’appaltatore, detti oneri si estendono anche a tale ultimo soggetto.

 

ANTIRICICLAGGIO

Riciclaggio: è sufficiente il mero trasferimento fra conti correnti dei fondi provenienti da reato (Cass., sez. II Penale, sent. 13 marzo 2015, n. 10746).

 

La Cassazione, seconda sezione penale, con sentenza n. 10746/2015 depositata il 13 marzo ha chiarito che non occorre l’accertamento giudiziale del reato presupposto, essendo bastevole quello incidentale del giudice procedente. Né impedisce l’integrazione del reato ex art. 648-bis c.p. l’intervenuta archiviazione a carico dei quattro indagati per i reati fiscali presupposti, trattandosi questi di provvedimenti non suscettibili di giudicato e, dunque, non di sentenze irrevocabili – le quali, per ciò solo, se assolutorie, impedirebbero la sussistenza del reato conseguente di riciclaggio. Con riferimento al flusso finanziario che conduce i fondi di provenienza delittuosa verso conti correnti ubicati in territorio straniero, la Cassazione ritiene che, per incardinare la giurisdizione italiana non occorre il superamento della soglia del tentativo ex art. 56 c.p. – idoneità ed univocità del tentativo – in territorio nazionale: più semplicemente occorre che venga realizzata in territorio nazionale parte della condotta poi concretizzata o perfezionata in terra straniera.

 

DIRITTO UE

L’assicuratore è obbligato a comunicare informazioni supplementari al cliente (Corte Giust. UE, Sez. V, sent. 29 aprile 2015, causa C-51/13).

 

Gli Stati membri possono imporre alle imprese di assicurazioni sulla vita di comunicare informazioni diverse da quelle previste dall’allegato II e dall’art. 31 della Direttiva 92/96 sulla base di principi generali di diritto interno, quali gli «standard aperti e/o norme non scritte», purché i dati richiesti siano chiari, precisi e necessari alla comprensione effettiva da parte del contraente degli elementi essenziali dell’impegno e garantiscano (all’assicurazione) una sufficiente certezza del diritto, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare. La base giuridica interna di questo onere deve rispettare i requisiti imposti dall’art. 31 §.3.

 

DIRITTO DELL’INFORMATICA E DELL’INTERNET

Il reato informatico si verifica nel luogo dell’accesso abusivo (Cass., SS.UU. Penali, sent. 24 aprile 2015, n. 17325).

 

Il quesito posto alle Sezioni Unite era il seguente: “Se, ai fini della determinazione della competenza per territorio, il luogo di consumazione del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all’art. 615-ter, cod. pen., sia quello in cui si trova il soggetto che si introduce nel sistema o, invece, quello nel quale è collocato il server che elabora e controlla le credenziali di autenticazione fornite dall’agente”.

Per le SS.UU. va affermato il seguente principio di diritto:

“Il luogo di consumazione del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all’art. 615-ter cod. pen., è quello nel quale si trova il soggetto che effettua l’introduzione abusiva o vi si mantiene abusivamente”.

 

DIRITTO DEL LAVORO

Ai fini della liquidazione equitativa del danno da demansionamento, il giudice deve tener conto dell’insieme dei pregiudizi sofferti (Cass., sez. Lavoro, sent. 28 aprile 2015, n. 8581).

 

La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con sentenza n. 8581 depositata il 28 aprile 2015 ha affermato che ai fini della liquidazione equitativa del danno da demansionamento, il giudice deve tener conto dell’insieme dei pregiudizi sofferti, compresi quelli esistenziali, purché sia provata nel giudizio l’autonomia e la distinzione degli stessi. Deve perciò provvedere all’integrale riparazione secondo un criterio di personalizzazione del danno che, escluso ogni meccanismo semplificato di liquidazione di tipo automatico, tenga conto, pur nell’ambito di criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della gravità della lesione e, quindi, delle particolarità del caso concreto e della reale entità del danno.

 

DIRITTO PENALE

La custodia cautelare in carcere come extrema ratio (Legge 16 aprile 2015, n. 47, “modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari”, in G.U. n. 94 del 23 aprile 2015).

 

È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 94 del 23 aprile 2015 ed entrerà in vigore lo 8 maggio 2015, la legge 16 aprile 2015, n. 47, recante modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari. La custodia cautelare in carcere potrà essere disposta in casi eccezionali e soltanto quando, dopo un’attenta e rigorosa valutazione, il giudice riterrà le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, inadeguate.

 

DIRITTO TRIBUTARIO

Accertamento fiscale: la Lista Falciani è utilizzabile come prova dell’evasione (Cass., sez. VI Civile – T, ord. 28 aprile 2015, n. 8606).

 

La Corte di Cassazione con le ordinanze nn. 8605 e 8606 del 28 aprile 2015 si è pronunciata per la prima volta sulla questione relativa all’utilizzabilità dei dati bancari tratti dalla c.d. “Lista Falciani” come elementi probatori su cui fondare una rettifica fiscale. Gli atti si fondavano sulle movimentazioni del conto corrente esistente presso una banca svizzera ed intestato al contribuente: la particolarità di tali dati bancari risiede nel fatto che essi sono stati illecitamente sottratti alla banca svizzera da un suo dipendente, a questo sequestrati da parte dell’Autorità Giudiziaria francese e infine trasmessi all’Amministrazione finanziaria italiana dalla omologa autorità francese attraverso i canali di collaborazione previsti dalla Direttiva n. 77/799/CEE e dalla Convenzione contro le doppie imposizioni Italia – Francia.

I contribuenti ritenevano inutilizzabili i dati bancari della cosiddetta “Lista Falciani” perché acquisiti attraverso una condotta illecita. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’Amministrazione finanziaria, nella sua attività di accertamento dell’evasione fiscale può avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o dal fatto di essere stati acquisiti dalla Amministrazione in violazione di un diritto del contribuente. Sono perciò utilizzabili, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo l’eventuale reato commesso dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (che non gode di tutela nei confronti del fisco). Spetterà quindi al giudice di merito, in caso di contestazioni fiscali mosse al contribuente, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro con le difese del contribuente.

 

MARCHI E BREVETTI

Merce visibilmente falsa, la fiducia che il consumatore ripone nel bene non subisce alcun nocumento (Cass., sez. II Pen., sent. 8 aprile 2015 n. 14090/15).

 

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 14090, depositata lo 8 aprile 2015 ricorda che

integra il delitto ex art. 474 c.p. la detenzione per la vendita di oggetti recanti marchio contraffatto senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana. La norma tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, bensì la fede pubblica, da intendersi come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio.

Afferma che il reato disciplinato dall’art. 474 c.p. (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) è un reato di pericolo e per la sua configurazione non serve la realizzazione dell’inganno; di conseguenza non ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno.

PRIVACY

Internet delle cose e i potenziali rischi per la tutela della privacy (Comunicato Garante Privacy 28 aprile 2015).

 

La possibilità per gli oggetti di “dialogare” ed interagire tra loro attraverso sensori, senza l’intervento umano e mediante reti di comunicazione elettronica, presenta indubbi vantaggi per la vita di tutti i giorni: si tratta di sistemi di interconnessione che spaziano dalla domotica ai wearable (dispositivi indossabili, anche al fine di comunicare informazioni sullo stato di salute), ai dispositivi di geolocalizzazione e di navigazione assistita. Tutti questi dispositivi sono in grado di raccogliere, registrare ed elaborare dati di utenti «spesso inconsapevoli», dati che consentono la ricostruzione di dettagliati profili basati sui comportamenti delle persone, sulle loro abitudini e perfino sulla loro salute, creando un monitoraggio particolarmente incisivo sulla vita privata, con potenziali condizionamenti della libertà individuale. Il Garante della Privacy ha pertanto deciso di avviare una consultazione pubblica al fine di valutare il fenomeno per individuare le «misure necessarie per assicurare agli utenti la massima trasparenza nell’uso dei loro dati personali e per tutelarli contro possibili abusi».

 

RESPONSABILITA’ DEGLI ENTI

Nel sequestro e nella confisca del profitto del reato deve prescindersi da parametri di tipo prettamente aziendalistico (Cass., sez. III Pen., sent. 14 aprile 2015, n. 15249).

 

La Cassazione, sez. III Penale, con la pronuncia n. 15249/2015, ha chiarito che nella definizione ai fini del sequestro e della confisca del profitto del reato deve prescindersi in generale da parametri di tipo prettamente aziendalistico quali quelli del profitto lordo o profitto netto, tanto più se l’impresa è totalmente votata all’illecito: il profitto non si identifica con l’utile d’impresa o il reddito di esercizio né si sovrappone ad essi sicché non si può strutturalmente scorporare il costo sostenuto per ottenerlo, soprattutto se l’investimento, in quanto cosa destinata a commettere il reato e dunque a produrre il profitto, potrebbe essere di per sé oggetto di confisca – se l’impresa non è totalmente votata al delitto, allorquando il corrispettivo costituisca il compenso di un’attività che, ancorché acquisita illecitamente, non infici tuttavia la regolarità della prestazione sinallagmatica resa al terzo, di esso non potrà tenersi conto nella quantificazione.

 

SICUREZZA SUL LAVORO

L’ambiente di lavoro in cui operano stabilmente più lavoratori dipendenti da datori di lavoro diversi (Cass., sez. III Pen., sent. 24 aprile 2015, n. 17119).

 

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 17119, depositata il 24 aprile 2015 ha chiarito che se in un medesimo ambiente di lavoro operano stabilmente più lavoratori dipendenti da datori di lavoro diversi e non legati tra loro da rapporti di appalto, di somministrazione o di altro tipo giuridicamente rilevante, ciascun datore di lavoro ètenuto all’elaborazione del documento di valutazione del rischio. Qualora, all’esito dell’elaborazione del documento, dovessero risultare situazioni di pericolo, al datore di lavoro che non possa in altro modo intervenire per eliminarle non resta che impedire che in quei luoghi prosegua l’attività lavorativa dei propri dipendenti.

 

TRUST

Aver costituito un trust è irrilevante ai fini di potersi legittimamente opporre a un sequestro (Cass., sez. II Pen., sent. 16 aprile 2015, n.15804).

 

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3786/15, depositata 16 aprile 2015 ha chiarito che aver costituito un trust è irrilevante, ai fini di potersi legittimamente opporre a un sequestro, se quello strumento sia stato utilizzato al fine di sottrarre i beni alla confisca: non si può, infatti, né consentire né ammettere che il semplice utilizzo di un lecito istituto giuridico sia sufficiente ad eludere la rigida normativa prevista nel diritto penale a presidio di norme inderogabili di diritto pubblico. Anzi, da sempre l’atto gratuito a favore dei congiunti è considerato l’elemento indiziario più significativo e ex se sufficiente a far ritenere la simulazione dell’atto.

 

DI TUTTO UN PO’

 

 

DIRITTO DI FAMIGLIA

Il c.d. “Divorzio Breve” è legge.

 

La Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge “Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi” che introduce il divorzio breve.

Il lasso temporale scende a 12 mesi per la separazione giudiziale (ossia quando il divorzio viene richiesto da uno dei coniugi) e 6 mesi per quella consensuale (anche se in origine instaurata giudizialmente), indipendentemente dalla presenza o meno di figli.

 

INCENTIVI

Incentivi per i contratti di sviluppo.

 

Al fine di dare continuità all’attuazione della disciplina relativa ai contratti di sviluppo sono state ridefinite le modalità e i criteri per la concessione delle agevolazioni in conformità con le disposizioni del nuovo regolamento (UE) n. 651/2014, valide per il periodo 2014 – 2020 che consentono la presentazione di programmi di sviluppo nei settori industriale, della tutela ambientale e del turismo.

I programmi di sviluppo possono essere realizzati da una o più imprese, italiane o estere, anche mediante il ricorso al contratto di rete.

L’investimento minimo previsto per l’accesso è di 20 milioni di euro, ovvero 7,5 milioni di euro per i programmi riguardanti esclusivamente il settore della trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli.

La dotazione finanziaria iniziale dello strumento è di 250 milioni di euro rivenienti dal Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) 2014-2020 ed aventi un vincolo di ripartizione territoriale dell’80% al Mezzogiorno e del 20% alle regioni del Centro-Nord. All’iniziale dotazione si potranno aggiungere ulteriori risorse derivanti dalla programmazione comunitaria e nazionale per il periodo 2014-2020.

Il termine iniziale per la presentazione, da parte delle imprese interessate, delle istanze di accesso alle agevolazioni è stato fissato con decreto direttoriale 29 aprile 2015 alle ore 12.00 del 10 giugno 2015. I modelli da utilizzare per la presentazione dei progetti di investimento sono disponibili a partire dal 4 maggio 2015.

 

PROFESSIONISTI E IMPRESE

Il Registro Imprese parla inglese.

 

Il Registro delle Imprese è pronto per essere raccontato al mondo. Per favorire l’internazionalizzazione e facilitare i rapporti con l’estero, i certificati e le visure camerali vedranno affiancata alla loro versione italiana anche quella in lingua inglese, arricchendo così l’offerta dei documenti ufficiali che possono essere richiesti all’anagrafe delle imprese delle Camere di Commercio Italiane.

 

Il progetto si inserisce nell’ambito del cosiddetto decreto “Destinazione Italia” che punta a creare misure per favorire gli investimenti in Italia da parte delle imprese estere e dall’altra facilitare l’accoglienza delle imprese italiane nell’ambito delle economie straniere. Le imprese italiane, impegnate in attività di import-export, saranno così agevolate nel momento di fornire la documentazione richiesta dalle Autorità straniere. Vi sarà dunque la possibilità di ottenere un certificato in lingua inglese allo sportello della Camera di Commercio senza doversi avvalere di una traduzione giurata con un risparmio sia in termini di tempo che di costi.

 

 

* * *

 

Newsletter a cura di Novastudia Milano:

slt@novastudia.com

 

Il presente documento èuna nota di studio. Quanto nello stesso riportato non potrà pertanto essere utilizzato o interpretato quale parere legale né utilizzato a base di operazioni straordinarie, né preso a riferimento da un qualsiasi soggetto o dai suoi consulenti legali per qualsiasi scopo che non sia un’analisi generale e sommaria delle questioni in esso affrontate.


Novastudia Newsletter marzo 2015

SOMMARIO

 

ALIMENTI

Coltivazione OGM: pubblicata la legge che lascia libertà decisionale agli Stati UE (Dir. UE 2015/412).

 

AMBIENTE

Il Senato approva il d.d.l. sui delitti contro l’ambiente (d.d.l. n. 1345, Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente).

 

ANTIRICICLAGGIO

Autoriciclaggio: voluntary disclosure obbliga all’adeguamento dei modelli organizzativi (art. 25-octies d.lgs. 231/2001).

 

DIRITTO UE

Abusi di mercato: La Corte chiarisce la nozione di informazione privilegiata (Corte Giust. UE, sent. 11 marzo 2015, causa C-628/13).

 

DIRITTO DELL’INFORMATICA E DELL’INTERNET

E-book e libri: no della UE alla imposta al consumo unica per entrambi (Corte Giust. UE, sent. 5 marzo 2015, cause C-479/13, Commissione c. Francia, e C-502/13, Commissione c. Lussemburgo).

 

DIRITTO DEL LAVORO

Dalla Legge di stabilità al Jobs act: gli incentivi all’assunzione.

 

DIRITTO PENALE

Trattativa chiusa online, ma la merce non arriva: condannato il venditore che aveva anche cancellato l’account (Cass., sez. VI Pen., sent. 10 marzo 2015 n. 10136).

 

DIRITTO TRIBUTARIO

I costi sostenuti per la gestione di un immobile destinato esclusivamente ai soci sono indeducibili (Cass., Sez. Trib., sent. 25 febbraio 2015, n. 3746).

 

MARCHI E BREVETTI

Marchio patronimico, ditta, segni distintivi e confondibilità (Cass., sez. I civ., sent. 25 febbraio 2015, n. 3806).

 

RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI

Il modello da adottare ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 non trova applicazione se la malattia della persona offesa non supera i 40 giorni (Cass., Sez. IV Pen., sent. 24 febbraio 2015, n. 8531).

 

SICUREZZA SUL LAVORO

Infortunio del lavoratore addetto ad un impianto di verniciatura automatico: imprudenza o responsabilità del datore di lavoro (Cass., Sez. IV Pen., sent. 2 marzo 2015, n. 9193).

 

TRUST

aliquota dello 8% se il disponente conferisce in trust i beni immobili di cui è proprietario, nominando sé stesso come trustee (Cass., sez. VI Civ., ord. 24 febbraio 2015, n. 3735).

 

DI TUTTO UN PO’

 

FAMIGLIA

Solo 10 giorni di convivenza ma niente assegno di mantenimento (Cass., sez. VI civ., ord. 26 marzo 2015, n. 6164).

 

INCENTIVI

Doppia agevolazione per le imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo e le formalizzano attraverso marchi, brevetti (l. 23 dicembre 2014, n. 190 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, c.d. legge di stabilità 2015).

 

NEWS ED EVENTI DELLO STUDIO

 

ALIMENTI

Coltivazione OGM: pubblicata la legge che lascia libertà decisionale agli Stati UE (Dir. UE 2015/412).

 

È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione la direttiva UE 2015/412 del Parlamento Europeo e del Consiglio dello 11 marzo 2015 che modifica la direttiva 2001/18/CE circa la possibilità degli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio.

La direttiva raccomanda la necessità di includere anche motivazioni diverse rispetto alla sicurezza alimentare o ambientale come cause sufficienti per proibire la coltivazione di OGM sui territori dell’Unione (Stati membri o regioni).

I motivi sufficienti per proibire la coltivazione di OGM attengono a: a) obiettivi di politica ambientale; b) pianificazione urbana e territoriale; c) uso del suolo; d) impatti socio-economici; e) esigenza di evitare la presenza di OGM in altri prodotti, fatto salvo l’articolo 26-bis; f) obiettivi di politica agricola; g) ordine pubblico.

La norma riconosce inoltre che andrà posta particolare attenzione alla prevenzione di eventuali contaminazioni transfrontaliere a partire da uno Stato membro in cui la coltivazione sia autorizzata verso uno Stato membro limitrofo in cui sia vietata.

 

 

AMBIENTE

Il Senato approva il d.d.l. sui delitti contro l’ambiente (d.d.l. n. 1345, Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente).

 

Il Senato ha approvato il 4 marzo scorso il d.d.l. n. 1345, recante disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente. Il testo, già approvato dalla Camera, è stato modificato per cui torna ora alla Camera per l’approvazione definitiva.

 

Il d.d.l. introdurrebbe nel codice penale quattro nuovi reati:

il delitto di inquinamento ambientale (art. 452-bis);

il delitto di disastro ambientale (art. 452-quater);

il delitto di traffico ed abbandono di materiale di alta radioattività (art. 452-sexies);

il delitto di impedimento del controllo.

I termini di prescrizione per i reati ambientali sono raddoppiati.

È prevista una diminuzione dei due terzi delle pene in caso di ravvedimento operoso.

In sede di condanna o patteggiamento per reati ambientali sono previsti la confisca dei beni ed il ripristino dello stato dei luoghi.

 

 

ANTIRICICLAGGIO

Autoriciclaggio: voluntary disclosure obbliga all’adeguamento dei modelli organizzativi (art. 25-octies d.lgs. 231/2001).

 

Il legislatore con la legge 15 dicembre 2014, n. 186 ha modificato la responsabilità amministrativa degli enti collettivi tramite l’inserimento nel d.lgs 231/2001 del nuovo art. 25-octies includendo l’autoriciclaggio nel catalogo dei reati che possono determinare una possibile responsabilità amministrativa in capo all’ente che lo commette.

I proventi da evasione fiscale od i risparmi da dichiarazione infedele si considerano autoriciclati se impiegati in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali.

Dal 1° gennaio 2015 l’ente è punito a titolo di autoriciclaggio con la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da cinquemila a venticinquemila euro. Sembra perciò opportuno adeguare rapidamente ed efficacemente i modelli organizzativi e gestionali per la natura che essi rivestono di circostanza esimente, per cui in caso di condanna dei vertici l’ente non incorrerà in sanzioni.

 

DIRITTO UE

Abusi di mercato: La Corte chiarisce la nozione di informazione privilegiata (Corte Giust. UE, sent. 11 marzo 2015, causa C-628/13).

 

La Corte di Giustizia della dell’Unione europea con sentenza 11 marzo 2015, nella causa C-628/13, ha statuito che per prevenire qualsiasi abuso di informazioni privilegiate, l’informazione deve essere comunicata al pubblico anche se il suo detentore non sa quale influenza precisa essa avrà sui prezzi degli strumenti finanziari. In caso contrario, il detentore dell’informazione potrebbe allegare l’esistenza di un’incertezza per trarne profitto a discapito degli altri soggetti intervenienti sul mercato. Una direttiva UE (2003/6/CE del 28 gennaio 2003), relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato, vieta l’abuso di informazioni privilegiate e obbliga gli emittenti di strumenti finanziari a rendere pubblica qualsiasi informazione privilegiata che li riguardi direttamente, vale a dire qualsiasi informazione avente carattere preciso che possa influire in maniera sensibile sui prezzi degli strumenti finanziari. Un’altra direttiva, la 2003/124/CE della Commissione, del 22 dicembre 2003, recante modalità di esecuzione della direttiva 2003/6 per quanto riguarda la definizione e la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate e la definizione di manipolazione del mercato, chiarisce che un’informazione si reputa precisa allorché consente di valutare se le circostanze o l’evento costituenti il suo oggetto possano avere un effetto sui prezzi degli strumenti finanziari. La Corte, con sentenza 11 marzo 2015 nella causa C-628/13, dichiara che dal tenore letterale delle direttive non risulta che le informazioni a carattere preciso siano unicamente quelle che permettono di stabilire in quale senso può variare il prezzo degli strumenti finanziari. Soltanto le informazioni vaghe o generiche, che non consentono di trarre alcuna conclusione riguardo al loro possibile effetto sui prezzi degli strumenti finanziari, possono essere considerate non precise. In proposito la Corte sottolinea che un investitore ragionevole può fondare la propria decisione d’investimento su informazioni che non necessariamente gli consentono di prevedere in un senso determinato la variazione del prezzo degli strumenti finanziari. Inoltre, l’accresciuta complessità dei mercati finanziari rende particolarmente difficile una stima esatta del senso nel quale può realizzarsi la variazione del prezzo degli strumenti finanziari. Se un’informazione potesse essere considerata precisa soltanto a condizione che consenta di stabilire il senso in cui avrà luogo la variazione del prezzo degli strumenti finanziari, il detentore dell’informazione potrebbe allegare l’esistenza di un’incertezza al riguardo per astenersi dal rendere pubbliche talune informazioni e trarne così profitto a discapito degli altri soggetti che intervengono sul mercato.

 

DIRITTO DELL’INFORMATICA E DELL’INTERNET

E-book e libri: no della UE alla imposta al consumo unica per entrambi (Corte Giust. UE, sentt. 5 marzo 2015, cause C-479/13, Commissione c. Francia, e C-502/13, Commissione c. Lussemburgo).

 

Il 5 marzo 2015 la Corte di Giustizia UE ha reso due pronunce “gemelle” in materia di tassazione di libri ed e-book. In breve, Francia e Lussemburgo hanno negli scorsi anni disposto l’abbassamento delle aliquote IVA sugli e-book rispettivamente al 5,5% ed al 3%: questo in violazione della direttiva 2006/112/CE con cui vengono date linee guida comunitarie per l’imposizione fiscale al consumo.

In particolare, la direttiva vieta in toto la possibilità per gli Stati membri di applicare aliquote ridotte per la fornitura di servizi elettronici: secondo la Corte la vendita di e-book non si atteggia a cessione di beni, intesi nella loro accezione più materiale fatta propria dalla direttiva (art. 14), ma a fornitura di servizi elettronici poichè per la fruizione è necessario un ulteriore dispositivo non ricompreso nella vendita; al contrario sarebbe ben possibile il ribasso delle aliquote nei tradizionali libri su supporto fisico.

La decisione della Corte è di particolare attualità in Italia: la Legge di Stabilità 2015 prevede al momento la riduzione dell’aliquota sugli e-book dal 22% al 4%: si è fatto genericamente riferimento a tutte le pubblicazioni vendute su supporto fisico o mediante comunicazione elettronica, esponendosi dunque alla possibilità di violazione della normativa comunitaria.

 

 

DIRITTO DEL LAVORO

Dalla Legge di Stabilità al Jobs act: gli incentivi all’assunzione.

 

La legge di Stabilità 2015 ed il Jobs act prevedono una serie di incentivi all’assunzione.

La Legge di Stabilità 2015 prevede innanzitutto un esonero contributivo per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza nel corso del 2015.

Questo riguarda tutti i lavoratori privi di occupazione a tempo indeterminato da almeno 6 mesi, o che non abbiano avuto rapporti di dipendenza a tempo indeterminato con l’impresa (comprese società collegate e controllate) nei tre mesi antecedenti all’entrata in vigore della legge (dal 29 settembre 2014) o per cui l’incentivo sia già stato usufruito.

L’agevolazione concerne l’esonero triennale (36 mesi) dal versamento dei contributi previdenziali, fino a un massimale annuo di euro 8.060. Sono esclusi dall’esonero i premi ed i contributi dovuti all’INAIL. È possibile usufruire dell’incentivo anche in caso di trasformazione del contratto da tempo determinato (o da precedente contratto a lavoro intermittente) a tempo indeterminato.

Quanto invece al Contratto di apprendistato possono essere assunti giovani di età compresa tra i 15 ed i 29 anni.

La contribuzione per gli apprendisti è pari al 10%.

Per le aziende fino a 9 dipendenti viene riconosciuto uno sgravio contributivo del 100% per i primi 3 anni di contratto; per gli anni successivi al terzo la contribuzione è pari al 10%.

In caso di trasformazione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, l’agevolazione contributiva del 10% viene riconosciuta per i 12 mesi successivi. Per i contratti sottoscritti a partire dal 1° gennaio 2015, l’intero costo sostenuto dal datore di lavoro diventa deducibile dalla base imponibile IRAP.

Ancora, un credito di imposta viene riconosciuto a favore di tutte le imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo a prescindere dal fatturato. Sono previste agevolazioni fiscali per le imprese che assumono nuovi lavoratori per potenziare l’attività di ricerca anche avviando nuovi progetti.

Per i contratti di lavoro a tempo indeterminato sottoscritti dal 1° gennaio 2015 viene ammessa in deduzione ai fini IRAP a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, la differenza tra il costo complessivo per il personale dipendente a tempo indeterminato e le vigenti deduzioni spettanti a titolo analitico o forfettario riferibili sempre al costo del lavoro.

Infine, il decreto attuativo del Jobs Act sul contratto a tutele crescenti statuisce che “i datori di lavoro privati che procedano all’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e di persone titolari di partita IVA” beneficiano dell’estinzione di tutte le violazioni contributive, assicurative e fiscali connesse all’eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro precedente.

 

DIRITTO PENALE

Trattativa chiusa online, ma la merce non arriva: condannato il venditore che aveva anche cancellato l’account (Cass., sez. VI Pen., sent. 10 marzo 2015 n. 10136).

 

La Suprema Corte con sentenza 10 marzo 2015 n. 10136 ha chiarito che in materia di truffa contrattuale il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto rispetto a quelle inizialmente concordate con l’altra parte, quando sia posta in essere con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l’elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza dei reato di cui all’art. 640 c.p. a maggior ragione quando colui che ha proposto in vendita la merce in uno degli aggregatori di riferimento per la compravendita di merce, eBay, una volta fatto l’affare si cancella dal mercato web, come nel caso di specie è accaduto. Integra dunque il reato previsto dall’art. 640 c.p. la condotta fraudolenta di chi si accredita sul sito e pone in vendita un bene, ricevendone il corrispettivo senza procedere alla consegna e rendendo difficile la possibilità di risalire al venditore. Circa la sussistenza degli artifici e raggiri non illogicamente sono state valutate indizianti della truffa sia la cancellazione dell’account successiva alla conclusione della transazione che la reiterazione di fatti analoghi da parte dello stesso.

 

DIRITTO TRIBUTARIO

I costi sostenuti per la gestione di un immobile destinato esclusivamente ai soci sono indeducibili (Cass., Sez. Trib., sent. 25 febbraio 2015, n. 3746).

L’Amministrazione Finanziaria, a seguito della constatazione che in undici anni di attività le operazioni attive di una società si erano estrinsecate unicamente nella locazione di un immobile, emetteva avvisi di accertamento in cui disconosceva i costi illegittimamente dedotti per materie prime, servizi, ammortamenti, oneri di gestione, ristrutturazione, etc.

Proposto ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, la società accertata otteneva sentenza favorevole, con successiva conferma nel giudizio di secondo grado proposto dall’ente creditore. In particolare, la Commissione Tributaria Regionale, constatato che l’oggetto sociale emergente dallo statuto ricomprendeva tutte le attività svolte dalla società (quali acquisto, ricostruzione e riadattamento di immobili, affitto, gestione, etc.) riteneva che la contribuente avesse svolto le attività previste dal suo oggetto senza infrangere alcuna disposizione normativa, in quanto l’attività sociale poteva limitarsi all’acquisto ed alla gestione di un unico immobile, altresì locato ai due soci con regolare contratto. A seguito di ricorso per cassazione, la Suprema Corte ha accolto il motivo di impugnazione proposto dall’Amministrazione Finanziaria, limitandosi a richiamare in materia l’orientamento da tempo consolidato, secondo cui un’operazione economica isolata non diretta al mercato, compiuta da una società commerciale, quand’anche l’atto costitutivo o lo statuto sociale prevedano che il sodalizio possa compiere operazioni di acquisto, ristrutturazione, vendita e locazione d’immobili di per sé sola non può valere a dare consistenza ad un’attività imprenditoriale capace di giustificare l’inerenza dell’operazione passiva dell’attività svolta.”

 

MARCHI E BREVETTI

Marchio patronimico, ditta, segni distintivi e confondibilità (Cass., sez. I civ., sent. 25 febbraio 2015, n. 3806).

 

La sentenza in esame trae origine da un conflitto tra segni distintivi di due imprese (in forma di società di capitali) operanti nel settore pubblicitario: la ricorrente con marchio comunitario, e la resistente con marchio in parte patronimico ed eponima ditta e denominazione sociale. Proprio la “parte” patronimica di quest’ultimo marchio ricomprendeva in sé il marchio della ricorrente, che lamentava dunque la confondibilità tra segni.

La ricorrente risultava soccombente in primo e secondo grado avanti al Tribunale ed alla Corte d’appello di Palermo; la Suprema Corte tuttavia cassa con rinvio la pronuncia della Corte d’appello.

Rilevano infatti i Giudici di cassazione che le corti territoriali avrebbero innanzitutto omesso di valutare che il conflitto non era limitato al raffronto tra i marchi ma anche a quello tra il marchio della ricorrente e la denominazione sociale – ditta dell’impresa (nonchè all’insegna), cosa per sé vietata dal principio di unitarietà dei segni distintivi esplicitato a livello generale dall’art. 22 del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (e più in piccolo dagli artt. 12 d.lgs. 30/2005, e 2564 e 2568 c.c.) .

Inoltre l’uso di un segno patronimico, non solo nel marchio ma anche nella denominazione sociale, è frutto di una scelta nel caso delle società di capitali come la resistente benché lo stesso sia stato “ereditato” dalla precedente forma giuridica rivestita: per le società di capitali non vi sono obblighi civilistici nella denominazione come invece accade per le società di persone; inoltre nel settore di riferimento l’uso del patronimico non è affatto necessitata dai servizi offerti ed anzi potrebbe rappresentare un elemento di confondibilità qualora avesse funzione distintiva e non meramente descrittiva, con ciò configurando pure astrattamente un illecito concorrenziale.

 

RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI

Il modello da adottare ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 non trova applicazione se la malattia della persona offesa non supera i 40 giorni (Cass., Sez. IV Pen., sent. 24 febbraio 2015, n. 8531).

 

Il Tribunale di Varese condannava due società (in persona dei rispettivi legali rappresentanti) al pagamento di una sanzione pecuniaria pari ad € 15.480.000,00, in relazione all’illecito di cui all’art. 12, comma II, d.lgs. n. 231/2001. Il Giudice di primo grado infatti, aveva ritenuto gli amministratori delle società (quali soggetti in posizione apicale) responsabili del delitto di lesioni personali colpose ex art. 590, comma III, c.p. a danno di un loro dipendente, violando le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in quanto non era stato adottato alcun preventivo modello di organizzazione e di gestione relativo ad una politica aziendale per la salute della sicurezza idoneo a prevenire il reato loro imputato. A seguito di ricorso per cassazione proposto da entrambe le società, la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza di primo grado impugnata, in quanto non si era verificata a danno del lavoratore alcuna ipotesi di lesione grave ai sensi dell’art. 583 c.p. (malattia o incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni). Infatti, è stato chiarito come, in conformità all’art. 25-septies, comma III, d.lgs. 231/2001, la responsabilità giuridica dell’ente richieda con riferimento alla commissione del reato di lesioni colpose il verificarsi di un’ipotesi di lesione grave, ossia di una lesione comportante la determinazione di una malattia della durata superiore ai 40 giorni.

 

SICUREZZA SUL LAVORO

Infortunio del lavoratore addetto ad un impianto di verniciatura automatico: imprudenza o responsabilità del datore di lavoro (Cass., Sez. IV Pen., sent. 2 marzo 2015, n. 9193).

 

In data 30 ottobre 2006 un lavoratore addetto ad un impianto di verniciatura automatico, ritenendo che la corsa dell’elevatore non fosse ben calibrata, al fine di regolare la giusta profondità, inseriva il braccio destro tra due pezzi dell’ingranaggio rimanendovi incastrato e procurandosi così gravi lesioni. Con sentenza del 07 maggio 2012, il Tribunale di Pesaro, pur imputando al lavoratore infortunato un comportamento imprudente, condannava il legale rappresentante della società (datore di lavoro) per il reato di lesioni colpose gravi, aggravato dalla violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 35 del d.lgs. n. 626/1994 e art. 61 del d.P.R. n. 547/1955). Tale decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello di Ancona in data 21 novembre 2013. Avverso quest’ultima decisione proponeva ricorso per cassazione la società imputata, in particolare eccependo (in uno dei sette motivi di ricorso) un vizio di motivazione in ordine al nesso causale: la Corte d’Appello avrebbe sottovalutato il comportamento gravemente imprudente del lavoratore, inosservante di specifiche direttive aziendali e tale da porsi ben oltre alla mera negligenza o imperizia nello svolgimento dell’attività lavorativa. La Suprema Corte, constatato il decorso del termine prescrizionale ai sensi della nuova formulazione dell’art. 157 c.p. (nella specie 7 anni e 6 mesi), ha dovuto dichiarare l’estinzione del reato. Ciononostante, i giudici di legittimità hanno evidenziato come l’obbligo del giudice di pronunciarsi sull’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito sia riscontrabile esclusivamente nel caso in cui gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto ovvero della sua non attribuibilità emergano in modo incontrovertibile: ciò non era da ritenersi riscontrabile nel caso di specie, non potendo trovare applicazione l’art. 129, comma II, c.p.

 

TRUST

aliquota dello 8% se il disponente conferisce in trust i beni immobili di cui è proprietario, nominando sé stesso come trustee (Cass., sez. VI Civ., ord. 24 febbraio 2015, n. 3735).

 

Il corretto trattamento impositivo indiretto dell’atto di costituzione di un trust auto dichiarato è “garanzia”, richiede di assoggettare lo stesso ad imposizione in misura proporzionale, con l’aliquota residuale (e massima) dello 8%. Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione, VI Sezione Civile, con l’ordinanza n. 3735 del 24 febbraio 2015. Va applicata l’imposta sulle successioni e donazioni, nella peculiare accezione concernente la costituzione di un vincolo di destinazione, assunta come autonomo presupposto impositivo, sull’attribuzione di danaro, conferita in trust e destinata ad essere investita a beneficio di terzi. L’atto di dotazione di un trust paga l’imposta di donazione immediatamente e, quindi, non se ne rimanda l’applicazione al momento in cui il trustee distribuirà il patrimonio del trust ai beneficiari. Tale assunto, invece, è stato precisato dalla Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile, con la ordinanza n. 3737 del 24 febbraio 2015.

 

DI TUTTO UN PO’

 

FAMIGLIA

Solo 10 giorni di convivenza ma niente assegno di mantenimento (Cass., sez. VI civ., ord. 26 marzo 2015, n. 6164).

 

La Corte di Cassazione con ordinanza 2 dicembre 2014 e depositata il 26 marzo 2015, n. 6164 ha respinto il ricorso di una donna che chiedeva di ottenere dall’ex marito l’assegno di mantenimento: la breve durata del matrimonio, solo dieci giorni di convivenza e meno di cento giorni dalla data del matrimonio al deposito del ricorso per separazione, non permetterebbe l’effettiva instaurazione di una comunione materiale e spirituale tra i coniugi.

La Corte ha ribadito che in materia di divorzio, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell’assegno ma non anche – salvo casi eccezionali in cui non si sia verificata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi – sul riconoscimento dell’assegno.

 

INCENTIVI

Doppia agevolazione per le imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo e le formalizzano attraverso marchi, brevetti (l. 23 dicembre 2014, n. 190 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, c.d. legge di stabilità 2015).

 

Doppia agevolazione per le imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo e le formalizzano attraverso marchi, brevetti, etc. Si potrà infatti usufruire sia del credito d’imposta per R&S che del patent box. Entrambi gli strumenti sono stati introdotti dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015).

L’unica condizione prevista per l’ottenimento del credito d’imposta è che si tratti di imprese.

Ai fini della determinazione del credito d’imposta sono agevolabili, tra l’altro, le spese per il personale altamente qualificato impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo, in possesso di un titolo di dottore di ricerca, iscritto a un ciclo di dottorato presso una università italiana o estera, ovvero in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico come da classificazione UNESCO ISCED (International Standard Classification of Education).

Sono altresì agevolabili le quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzazione di strumenti e attrezzature di laboratorio, nonché le spese relative a contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca e organismi equiparati, competenze tecniche e privative industriali relative a un’invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale anche acquisite da fonti esterne. Non sono invece agevolabili le spese per il personale (ausiliario e tecnico), costi relativi a immobili e terreni, costi per studi di fattibilità, altri costi di esercizio.

Quando inoltre al patent box, introdotto dalla Legge di Stabilità 2015, questo prevede che la quota di reddito e del valore della produzione che possa essere oggetto di agevolazione venga definita in base al rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale eleggibile e i costi complessivi sostenuti per produrre tale bene. Si fa riferimento con ciò ai costi fiscalmente rilevanti.

 

NEWS ED EVENTI DELLO STUDIO

 

Il Prof. Avv. Serafino Ruscica, responsabile di Novastudia Milano e Novastudia Roma per la Formazione, ha svolto a Palermo una lezione per Scuola Nazionale dell’Amministrazione nell’ambito delle attività di formazione previste dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 per i dipendenti della Regione Sicilia. Il corso, in tema di prevenzione della corruzione, ha avuto ad oggetto:

– analisi delle aree di rischio obbligatorie: area acquisizione e progressione personale;

analisi delle aree di rischio obbligatorie: area affidamento di lavori, servizi e forniture.

 

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Novastudia Milano e Novastudia Roma organizzano l’evento formativo “La compliance nei settori farmaceutico e biomedico” che si svolgerà a Roma in data del 9 aprile 2015. La scheda informativa e d’iscrizione all’evento È scaricabile sul sito www.novastudia.it

 

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Newsletter a cura di Novastudia Milano:

slt@novastudia.com

 

Il presente documento è una nota di studio. Quanto nello stesso riportato non potrà pertanto essere utilizzato o interpretato quale parere legale né utilizzato a base di operazioni straordinarie, né preso a riferimento da un qualsiasi soggetto o dai suoi consulenti legali per qualsiasi scopo che non sia un’analisi generale e sommaria delle questioni in esso affrontate.


Novastudia Newsletter febbraio 2015

SOMMARIO

FEBBRAIO 2015

 

ALIMENTI

Piano straordinario Made in Italy da 260 milioni di euro (D.M. 26 febbraio 2015).

 

AMBIENTE

SISTRI: a che punto siamo?

 

ANTIRICICLAGGIO

Responsabilità degli enti ai sensi del D.lgs. 231/2001 e autoriciclaggio (art. 25-octies d.lgs. 231/2001).

 

DIRITTO UE

La Corte chiarisce la nozione di «tariffe minime salariali» dei lavoratori distaccati (Corte Giust. UE, sent. 12 febbraio 2015, causa C-396/13).

 

DIRITTO DELL’INFORMATICA E DELL’INTERNET

Diritto all’oblio: Approvato dall’autorità Garante il protocollo di verifica delle misure che Google adotterà per la tutela della privacy degli utenti italiani (Garante Privacy, Provv. n. 30 del 22 gennaio 2015).

 

DIRITTO DEL LAVORO

Il Jobs act è legge: ecco i punti principali dei decreti attuativi.

 

DIRITTO PENALE

Minaccia di effettuare un (finto) controllo fiscale nei confronti dell’attività commerciale se non gli avesse pagato una somma di denaro per evitarlo: è truffa, non estorsione (Corte Cass., sez. II Pen., sent. 24 febbraio 2015 n. 8170).

 

DIRITTO TRIBUTARIO

Con una sola operazione commerciale la società non può detrarre i costi sostenuti (Corte Cass., sez. Tributaria, sent. 25 febbraio 2015, n. 3746).

 

MARCHI E BREVETTI

L’uso altrui del marchio patronimico della società di capitali è illecito (Corte Cass., sez. I Civ., sent. 25 febbraio 2015, n. 3806/1).

 

 

 

SICUREZZA SUL LAVORO

Cala il sipario sul caso eternit (Corte Cass., sent. 23 febbraio 2015, n. 7941).

 

DI TUTTO UN PO’

 

 

INCENTIVI

Credito d’imposta per investimenti in beni strumentali (circ. Agenzia Entrate n. 5/E del 19 febbraio 2015).

 

NEWS ED EVENTI DELLO STUDIO

 

ALIMENTI

Piano straordinario Made in Italy da 260 milioni di euro (D.M. 26 febbraio 2015).

 

Il ministro dello Sviluppo ha firmato il decreto di attuazione del Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l’attrazione degli investimenti in Italia per il quale sono stati stanziati 260 milioni di euro. Di seguito gli obiettivi del piano.

1- Incrementare il volume dell’export, espandendo la presenza internazionale in particolare nei Paesi in cui il potenziale è maggiore. Si punta ad incrementare i flussi di export di beni e servizi di circa 50 miliardi di euro entro il triennio.

2- Aumentare il numero complessivo delle imprese esportatrici, ponendo in condizione le aziende potenzialmente esportatrici. Negli ultimi anni il numero medio di imprese che operano con l’estero si è aggirato intorno alle 200.000 unità: nell’ambito di tale numero, si ritiene che potrebbe crescere di circa 20.000 unità il numero delle imprese stabilmente esportatrici (tra le 70.000 potenziali).

3- Cogliere le opportunità legate alla crescita della domanda globale e all’incremento della classe media nei mercati emergenti, sempre più orientata verso modelli di consumo vicini al modello di specializzazione produttiva dell’export italiano. Si stima una crescita della classe media mondiale di circa 800 milioni di persone nei prossimi 15 anni.

4- Accrescere la capacità di intercettare investimenti esteri; si punta ad ottenere 20 miliardi di dollari di flussi aggiuntivi.

 

AMBIENTE

SISTRI: a che punto siamo?

 

La normativa in materia di rifiuti è stata più volte modificata attraverso una serie di disposizioni che hanno inciso su diversi profili della materia e su specifiche tipologie di rifiuti, anche al fine di adeguare la disciplina nazionale a quella europea. Diversi interventi hanno riguardato la disciplina relativa alla tracciabilità dei rifiuti.

Il D.M. 20 marzo 2013 ha stabilito i termini di riavvio progressivo del SISTRI per consentirne la messa a regime da marzo 2014. Successivamente il D.L. 150/2013 ha stabilito l’allungamento fino al 31 dicembre 2014 del periodo durante il quale i soggetti obbligati al controllo telematico devono continuare ad effettuare anche il tracciamento tradizionale dei rifiuti (c.d. doppio binario) e previsto l’applicazione delle sanzioni SISTRI solo a decorrere dal 1° gennaio 2015. Ulteriori disposizioni in materia sono state apportate dal c.d. decreto competitività (D.L. 91/2014) che all’art. 14 commi 2 e 2-bis, disciplina le modalità per adottare un intervento di semplificazione del SISTRI e fissa al 31 dicembre 2015 il termine finale di efficacia del contratto per la concessione del servizio di realizzazione, gestione e manutenzione del SISTRI disponendo, nel contempo, l’avvio delle procedure di affidamento della nuova concessione del servizio medesimo. L’art. 35, comma 10, del D.L. 133/2014 (c.d. “sblocca Italia”) riguarda invece l’affidamento della nuova concessione del SISTRI dal 2016, consentendo al Ministero dell’ambiente di avvalersi di Consip S.p.A. per lo svolgimento delle relative procedure.

 

ANTIRICICLAGGIO

Responsabilità degli enti ai sensi del d.lgs. 231/2001 e autoriciclaggio (art. 25-octies d.lgs. 231/2001).

 

Il legislatore con la legge 15 dicembre 2014, n. 186 ha inserito nel d.lgs 231/2001 il nuovo art. 25-octies “Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio”, unendo tali fattispecie agli illeciti già previsti e puniti. Dal 1° gennaio 2015 è punito a titolo di autoriciclaggio (con la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da cinquemila a venticinquemila euro)

“chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. La reclusione sarà da uno a quattro anni e la multa da

duemilacinquecento a dodicimila e cinquecento euro “se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni”; sarà nuovamente applicata la più grave pena (di cui al primo comma dell’art. 648-ter) qualora il denaro, i beni o le altre utilità provengano da un delitto commesso “con le condizioni e le finalità” relative alla fattispecie di associazione a delinquere di stampo mafioso.

 

DIRITTO UE

La Corte chiarisce la nozione di «tariffe minime salariali» dei lavoratori distaccati (Corte Giust. UE, sent. 12 febbraio 2015, causa C-396/13).

 

La direttiva relativa al distacco dei lavoratori prevede che, in materia di tariffe minime salariali, le condizioni di lavoro e di occupazione garantite ai lavoratori distaccati siano fissate dalla normativa dello Stato membro ospitante e/o, nel settore edile, dai contratti collettivi di applicazione generale nello Stato membro ospitante.

La Corte ricorda poi che la direttiva persegue un duplice obiettivo: da un lato, mira a garantire una leale concorrenza tra le imprese nazionali e quelle che svolgono una prestazione di servizi transnazionale; dall’altro, ha lo scopo di garantire ai lavoratori distaccati l’applicazione di un nucleo di norme imperative di protezione minima da parte dello Stato membro ospitante. La Corte sottolinea però che la direttiva non ha armonizzato il contenuto sostanziale di tali norme, sebbene essa fornisca talune informazioni in merito: rileva allora che la direttiva fa espresso rinvio alla legislazione o alla prassi nazionale dello Stato membro ospitante per determinare le tariffe minime salariali, purché tale definizione non abbia l’effetto di ostacolare la libera prestazione dei servizi tra gli Stati membri.

Da quanto precede la Corte giunge alla conclusione che le modalità di calcolo delle tariffe e i criteri ad esso applicati devono parimenti essere di competenza dello Stato membro ospitante.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte conclude che la direttiva non osta ad un calcolo del salario minimo su base oraria e/o a cottimo, basato sull’inquadramento dei lavoratori in gruppi retributivi, purché tale calcolo e tale inquadramento siano effettuati sulla base di norme vincolanti e trasparenti, accertamento questo che spetta al giudice nazionale.

 

DIRITTO DELL’INFORMATICA E DELL’INTERNET

Diritto all’oblio: Approvato dall’autorità Garante il protocollo di verifica delle misure che Google adotterà per la tutela della privacy degli utenti italiani (Garante Privacy, provv. n. 30 del 22 gennaio 2015).

 

È stato approvato dal Garante per la Privacy il protocollo di verifica previsto nel provvedimento adottato nel luglio scorso nei confronti della società di Mountain View. Si passa pertanto dalla fase delle prescrizioni impartite dal Garante a Google a quella della loro realizzazione pratica, che dovrà essere ultimata entro il 15 gennaio 2016. Google adotterà tutte le misure a tutela della privacy degli utenti italiani prescritte dal Garante per la protezione dei dati personali e, per la prima volta in Europa, dovrà assoggettarsi a verifiche periodiche che monitorino l’avanzamento dei lavori di adeguamento della propria piattaforma ad una normativa nazionale. Il documento prevede aggiornamenti trimestrali sullo stato di avanzamento dei lavori e la possibilità per l’Autorità di effettuare presso la sede americana di Google verifiche di conformità alla disciplina italiana delle misure in via di implementazione. In base al protocollo, l’Autorità potrà monitorare costantemente le modifiche che Google deve apportare ai trattamenti dei dati personali degli utenti che usufruiscono dei suoi servizi, tra cui il motore di ricerca, la posta elettronica, la diffusione di filmati (tramite YouTube) ed il social network proprietario.

 

DIRITTO DEL LAVORO

Il Jobs act è legge: ecco i punti principali dei decreti attuativi.

 

Nei prossimi giorni verranno pubblicati in Gazzetta Ufficiale i primi due decreti attuativi del Jobs Act (Legge n. 183/2014), approvati in via definitiva nel Consiglio dei Ministri dello scorso 20 febbraio, disciplinanti il nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti e gli ammortizzatori sociali in caso di occupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati che dovrebbero entrare in vigore tra il mese di marzo e quello di maggio.

Gli altri decreti attuativi della riforma del lavoro dovranno essere posti al vaglio delle Commissioni parlamentari competenti per i prescritti pareri perché diventino operativi, e riguardano il riordino delle tipologie contrattuali (con l’eliminazione delle co.co.pro. e dal 1° gennaio 2016 l’applicazione delle norme sul lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione personale con contenuto ripetitivo ed etero- organizzati dal datore di lavoro), la revisione della disciplina delle mansioni e le disposizioni sulla conciliazione dei tempi vita-lavoro. Nei seguenti paragrafi le principali novità.

 

  1. Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti in attuazione della legge n. 183 del 2014.

 

Il Contratto a tutele crescenti si applica ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto prevista per marzo, per i quali stabilisce una nuova disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi (per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del decreto restano valide le norme precedenti).

Si applica anche ai contratti a tempo determinato o di apprendistato nei casi in cui vengano convertiti in contratto a tempo indeterminato (art. 1).

Quanto alla disciplina dei licenziamenti, per i licenziamenti discriminatori e nulli intimati in forma orale resta la reintegrazione nel posto di lavoro così come previsto per tutti i lavoratori (art. 2).

Per i licenziamenti disciplinari la reintegrazione resta solo per quella in cui sia accertata “l’insussistenza del fatto materiale contestato”; negli altri casi in cui si accerti che non ricorrano gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ovvero i cosiddetti “licenziamenti ingiustificati”, viene introdotta una tutela risarcitoria certa, commisurata all’anzianità di servizio e, quindi, sottratta alla discrezionalità del giudice (art. 3).

La regola applicabile ai nuovi licenziamenti è quella del risarcimento in misura pari a due mensilità per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di 4 ed un massimo di 24 mesi.

Per evitare di andare in giudizio si potrà fare ricorso alla nuova conciliazione facoltativa incentivata. In questo caso il datore di lavoro offre una somma esente da imposizione fiscale e contributiva pari ad un mese per ogni anno di servizio, non inferiore a due e sino ad un massimo di diciotto mensilità. Con l’accettazione il lavoratore rinuncia alla causa (art. 6).

Per i licenziamenti collettivi il decreto stabilisce che, in caso di violazione delle procedure (art. 4, comma 12, legge 223/1991) o dei criteri di scelta (art. 5, comma 1), si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario che vale per gli individuali (da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità) (art. 10).

In caso di licenziamento collettivo intimato senza l’osservanza della forma scritta la sanzione resta quella della reintegrazione, così come previsto per i licenziamenti individuali.

Per le piccole imprese tuttavia la reintegra resta solo per i casi di licenziamenti nulli e discriminatori e intimati in forma orale. Negli altri casi di licenziamenti ingiustificati è prevista un’indennità crescente di una mensilità per anno di servizio con un minimo di 2 e un massimo di 6 mensilità (art. 9).

La nuova disciplina si applica anche ai sindacati ed ai partiti politici.

 

  1. Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di occupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge n. 183 del 2014 che dovrebbe entrare in vigore nel mese di maggio.

 

Il decreto introduce la NASPI, nuova assicurazione sociale per l’impiego. Vale per gli eventi di disoccupazione che si verificano a decorrere dal 1° maggio 2015 e per tutti i lavoratori dipendenti che abbiano perso l’impiego e che hanno cumulato almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni di lavoro ed almeno 18 giornate effettive di lavoro negli ultimi 12 mesi. La base retributiva della NASPI sono gli ultimi 4 anni di impiego (anche non continuativo) rapportati alle settimane contributive e moltiplicati per il coefficiente 4.33.

La durata della prestazione è pari ad un numero di settimane corrispondente alla metà delle settimane contributive degli ultimi 4 anni di lavoro.

L’ammontare dell’indennità è commisurato alla retribuzione e non può eccedere i 1.300 euro. Dopo i primi 4 mesi di pagamento, la Naspi viene ridotta progressivamente del 3% al mese.

L’erogazione della NASPI è condizionata alla partecipazione del disoccupato ad iniziative di attivazione lavorativa o di riqualificazione professionale.

 

Viene introdotto in via sperimentale, per quest’anno, l’ASDI, assegno di disoccupazione che verrà riconosciuto a chi, scaduta la NASPI, non ha trovato impiego e si trovi in condizioni di particolare necessità. La durata dell’assegno, che sarà pari al 75% dell’indennità NASPI, è di 6 mesi e verrà erogato fino ad esaurimento dei 300 milioni del fondo specificamente costituito.

 

Per i co.co.co (iscritti alla Gestione separata INPS) che perdono il lavoro c’è la l’indennità di disoccupazione DIS-COL (disoccupazione per i collaboratori).

Presuppone tre mesi di contribuzione nel periodo che va dal primo gennaio dell’anno precedente l’evento di disoccupazione alla data del predetto evento.

Il suo importo è rapportato al reddito e diminuisce del 3% a partire dal quarto mese di erogazione. La durata della prestazione è pari alla metà delle mensilità contributive versate e non può eccedere i 6 mesi. Anche questa indennità è condizionata alla partecipazione ad iniziative di politiche attive.

 

Sarà più semplice far passare il lavoratore da una mansione all’altra, compreso il cosiddetto demansionamento, in caso di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale. Nel testo c’è un passaggio dedicato alla “tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita”.

 

Il vecchio sussidio di disoccupazione sarà rapportato a quanti contributi il lavoratore ha versato. Chi ha la “carriera contributiva” più importante avrà diritto a una maggior durata dell’Aspi, anche oltre ai 18 mesi massimi fissati fino a ora. L’Aspi sarà esteso anche ai collaboratori, almeno finché queste figure professionali non saranno definitivamente cancellate dal contratto a tutele crescenti. Per chi si troverà nelle situazioni più difficili, potrebbe essere introdotto un “secondo Aspi”.

 

Non si potrà più autorizzare la CIG in caso di cessazione definitiva di attività aziendale. Ci saranno nuovi limiti di durata sia per la cassa integrazione ordinaria (che ora è di due anni) sia per quella straordinaria (che è di quattro). L’obiettivo è di assicurare un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori con tutele uniformi e legate alla storia contributiva del lavoratore.

 

Sarà estesa anche alle lavoratrici prive di contratto a tempo indeterminato, sarà fatto attraverso contratti di solidarietà “attivi” che dovrebbero permettere a tutti di conciliare meglio i tempi di lavoro e di vita.

 

Saranno rafforzato le politiche attive per favorire il venirsi incontro di domanda e offerta con la costituzione di un’agenzia nazionale per il lavoro, che nelle speranze del governo dovrebbe funzionare come nel modello tedesco.

 

DIRITTO PENALE

Minaccia di effettuare un (finto) controllo fiscale nei confronti dell’attività commerciale se non gli avesse pagato una somma di denaro per evitarlo: è truffa, non estorsione (Corte Cass., sez. II Pen., sent. 24 febbraio 2015 n. 8170).

 

La Suprema Corte con la sentenza del 24 febbraio 2015, n. 8170 ha precisato che la differenza tra il delitto di estorsione e quello di truffa aggravata dall’ingenerato timore di un pericolo immaginario si rinviene nel diverso elemento oggettivo, la cui sussistenza va apprezzata con giudizio ex post. Si ha estorsione nel caso in cui il danno viene prospettato come sicuro ad opera del soggetto agente se la vittima non cede alla richiesta minatoria. Ricorre la truffa se il danno immaginario viene indotto per il tramite di artifici e raggiri e l’agente non sia in grado di realizzare la minaccia del danno stesso.

 

DIRITTO TRIBUTARIO

Con una sola operazione commerciale la società non può detrarre i costi sostenuti (Corte Cass., sez. Tributaria, sent. 25 febbraio 2015, n. 3746).

 

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3746, del 25 febbraio 2015, ha affermato che una società creata solo con la finalità di dedurre dei costi non possa, con una sola operazione commerciale, detrarsi i costi sostenuti. n tema di reddito di impresa non sono, quindi, deducibili i costi sostenuti per la gestione di un immobile destinato esclusivamente al godimento personale dei soci e degli amministratori in forza di un regolare contratto di locazione.

Per la Corte di Cassazione le perdite di bilancio indicate e l’assenza di personale sono elementi che fanno scattare la presunzione dell’impresa creata al solo scopo di ottenere i benefici fiscali.

 

MARCHI E BREVETTI

L’uso altrui del marchio patronimico della società di capitali è illecito (Corte Cass., sez. I Civ., sent. 25 febbraio 2015, n. 3806/1).

 

In tema di marchio patronimico di società di capitali e quindi di proprietà industriale, un segno distintivo costituito da nome anagrafico e validamente registrato come marchio non può essere adottato, in settori merceologici identici o affini, come marchio e/o come denominazione sociale di altra impresa: così, si configura scorrettezza professionale in caso di inserimento, nella denominazione sociale, del cognome di uno dei soci coincidente col nome precedentemente incluso in un marchio già registrato da terzi, salvo vi sia una reale esigenza descrittiva inerente l’attività, i prodotti o i servizi offerti.

 

SICUREZZA SUL LAVORO

Cala il sipario sul caso eternit (Corte Cass., sent. 23 febbraio 2015, n. 7941).

 

Il caso in parola è il noto caso Eternit, il processo a carico dei responsabili della gestione della società Eternit S.p.A. che a partire dal 1952 avrebbero determinato il decesso di quasi 2mila operai lavoratori in stabilimenti italiani: sarebbe stata omessa la realizzazione di precauzioni, impianti “di ventilazione, di aspirazione e di protezione personale – e segnaletiche finalizzati a prevenire malattie od infortuni poi rivelatasi mortali, ai sensi degli artt. 434 c.p. (Procurato disastro) e 437 c.p. (Omessa applicazione dei dispositivi di sicurezza destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro).”

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 7941/15, depositata il 23 febbraio 2015 ha annullato senza rinvio ravvisando il decorso della prescrizione per tutte le imputazioni ed annullando di seguito il disposto risarcimento a favore delle parti civili costituite.

 

DI TUTTO UN PO’

 

INCENTIVI

Credito d’imposta per investimenti in beni strumentali (circ. Agenzia Entrate n. 5/E del 19 febbraio 2015).

 

L’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 5/E diffusa il 19 febbraio 2015, ha fornito chiarimenti a tutto campo sul credito d’imposta introdotto dall’art. 18 del Decreto Competitività (d.l. n. 91/2014). È riconosciuto un credito d’imposta per gli investimenti in beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato, effettuati tra il 25 giugno 2014 e il 30 giugno 2015.

 

 

NEWS ED EVENTI DELLO STUDIO

 

L’ avvocato Nicola Tilli il 5 e 6 febbraio 2015 ha svolto per la Scuola di Specializzazione per le professioni Forensi dell’Università di Urbino lezioni in tema di “Legal compliance: le varie conformità normative in un quadro di integrazione 231, sicurezza sul lavoro, antiriciclaggio, codice privacy, ambiente” e di “La compliance antiriciclaggio e l’introduzione della normativa sulla voluntary disclosure”.

 

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L’avvocatessa Miriam Polini il 12 febbraio 2015 ha svolto per la Scuola di Specializzazione per le professioni Forensi dell’Università di Urbino una lezione sul tema La tutela normativa del Made in Italy.

 

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Newsletter a cura di Novastudia Milano:

slt@novastudia.com

 

Il presente documento è una nota di studio. Quanto nello stesso riportato non potrà pertanto essere utilizzato o interpretato quale parere legale né utilizzato a base di operazioni straordinarie, né preso a riferimento da un qualsiasi soggetto o dai suoi consulenti legali per qualsiasi scopo che non sia un’analisi generale e sommaria delle questioni in esso affrontate.


Novastudia Newsletter gennaio 2015

SOMMARIO

ALIMENTI

Ogm, confermato il divieto di coltivazione del mon810 (D.IM. 23 gennaio 2015).

AMBIENTE

Continua lento l’iter dei reati ambientali (D.D.L. 26 febbraio 2014, N. 1345).

ANTIRICICLAGGIO

Approvata dalla Commissione per gli Affari economici e monetari e per le libertà civili del Parlamento Europeo la quarta Direttiva europea contro il riciclaggio di denaro (IV Direttiva UE).

DIRITTO UE

Prenotazione voli online: va indicato il prezzo complessivo in ogni fase (Corte Giust. UE, V Sez., sent. 15 gennaio 2015, causa C-573/13).

DIRITTO DELL’INFORMATICA E DELL’INTERNET

Pubblicate le regole tecniche sul documento informatico (d.P.C.M. 13 novembre 2014, in G.U. 12 gennaio 2015, n. 8).

DIRITTO DEL LAVORO

Il lavoratore deve provare l’esistenza di condotte del datore dirette alla sua emarginazione (Corte Cass., sez. Lavoro, sent. 23 gennaio 2015, n. 1258).

DIRITTO PENALE

L’errore di diritto è scusabile se incolpevole data la sua inevitabilità (Corte Cass., sez. III Pen., sent. 26 gennaio 2015, n. 3412).

DIRITTO TRIBUTARIO

La Guardia di Finanza può ampliare le verifiche senza obbligo di comunicarlo al contribuente (Corte Cass., sez. Tributaria, sent. 21 gennaio 2015, n. 992).

MARCHI E BREVETTI

In vigore il Patent box, regime agevolato per lo sfruttamento di marchi e brevetti, introdotto dalla Legge di Stabilità 2015 (d.l. n. 3/2015, «Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti» in G.U. il 24 gennaio 2015).

PRIVACY

Diritto all’oblio e rimozione dei risultati di Google: i primi provvedimenti del Garante.

RESPONSABILITA’ DEGLI ENTI

Sono confiscabili, in caso di “reato in contratto”, le somme percepite dall’ente non giustificate dai costi concretamente sostenuti per l’esecuzione della prestazione (Corte Cass., sez. VI Penale, sent. 22 dicembre 2014, n. 53430).

SICUREZZA SUL LAVORO

La titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante (Corte Cass., sent. 27 gennaio 2015, n. 3786).

TRUST

I Beni del trust sono intestati solo formalmente al trustee e quindi sono esclusi dal suo patrimonio (Corte Cass., sez. II Pen., sent. 3 dicembre 2014, n. 50672).

DI TUTTO UN PO’

DIRITTO DI FAMIGLIA

Il bambino nato da maternità surrogata all’estero è figlio dei genitori committenti italiani (CEDU, sez. II, sent. 27 gennaio 2015, Paradiso e Campanelli c. Italia).

INCENTIVI

incentivi alle assunzioni introdotti con la Legge di Stabilità del 2015.

PROFESSIONISTI E IMPRESE

Istituito il registro degli organismi autorizzati alla gestione della crisi da sovraindebitamento.

NEWS ED EVENTI DELLO STUDIO

ALIMENTI

Ogm, confermato il divieto di coltivazione del mon810 (D.IM. 23 gennaio 2015).

Il Ministro della Salute, il Ministro delle politiche agricole e quello dell’Ambiente, hanno firmato il 23 gennaio 2015 il decreto che sancisce il divieto di coltivazione di mais Ogm MON810. Il provvedimento proroga per un periodo di ulteriori 18 mesi dalla sua entrata in vigore il divieto già emanato con il precedente decreto interministeriale del 12 luglio 2013.

La decisione anticipa il recepimento in Italia della nuova Direttiva in materia di OGM che sancisce il diritto degli Stati Membri di limitare o proibire la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul territorio nazionale, anche se questi sono autorizzati a livello europeo, per motivi di natura economica ed agricola.

AMBIENTE

Continua lento l’iter dei reati ambientali (D.D.L. 26 febbraio 2014, N. 1345).

Il 26 gennaio 2015 le commissioni riunite 2ª (Giustizia) e 13ª (Territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato hanno concluso l’esame del testo già approvato dalla Camera del D.D.L. n. 1345 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”.

Il progetto di legge in questione interviene sul quadro normativo dei reati ambientali, prevedendo un inasprimento delle sanzioni e l’introduzione di nuove fattispecie nel codice penale, con anche il fine di contrastare l’azione delle organizzazioni criminali. Dopo il titolo VI del libro secondo del codice penale dovrebbe essere inserito il Titolo VI-bis (“Dei delitti contro l’ambiente”) in cui verrebbero introdotti gli articoli 452-bis (Inquinamento ambientale), 452-quater (Delitti colposi contro l’ambiente), 452-quinquies (Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività ); 452-sexies (Impedimento del controllo), 452-septies (Circostanze aggravanti), 452-octies (Ravvedimento operoso), 452-novies (Confisca), 452-decies (Ripristino dello stato dei luoghi).

ANTIRICICLAGGIO

Approvata dalla Commissione per gli Affari economici e monetari e per le libertà civili del Parlamento Europeo la quarta Direttiva europea contro il riciclaggio di denaro (IV Direttiva UE).

È stata approvata il 27 gennaio 2015 dalla Commissione per gli Affari economici e monetari e per le libertà civili del Parlamento Europeo la quarta Direttiva europea contro il riciclaggio di denaro, volta ad accrescere la trasparenza in merito alla proprietà delle società e dei trust e di fornire alle autorità strumenti efficaci per la lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo.

Il testo introduce in tutti i Paesi europei un registro centralizzato di informazioni riguardo alla proprietà effettiva degli enti giuridici di cui sopra; inoltre, al fine di intercettare operazioni di antiriciclaggio internazionale sono previsti meccanismi di cooperazione sovranazionale.

I reati fiscali vengono inclusi così fra i reati presupposto di riciclaggio.

DIRITTO UE

Prenotazione voli online: va indicato il prezzo complessivo in ogni fase (Corte Giust. UE, V Sez., sent. 15 gennaio 2015, causa C-573/13).

Nell’ambito di un sistema di prenotazione elettronica, il prezzo finale da pagare deve essere complessivamente precisato ad ogni indicazione dei prezzi dei servizi aerei, ivi compresa la loro prima indicazione. Ciò vale non solo per il servizio aereo selezionato dal cliente ed operato dalla singola compagnia, bensì anche per il prezzo complessivo nel caso di tratta con pi๠trasbordi.

Tale interpretazione risulta tanto dal tenore quanto dalla ratio e dall’obiettivo della normativa dell’Unione, volta a garantire che i clienti possano operare un raffronto effettivo dei prezzi dei servizi aerei praticati dai vari vettori. È quanto stabilito dalla Corte di Giustizia UE, Quinta Sezione con sentenza del 15 gennaio 2015 nella causa C-573/13.

DIRITTO DELL’INFORMATICA E DELL’INTERNET

Pubblicate le regole tecniche sul documento informatico (d.P.C.M. 13 novembre 2014, in G.U. 12 gennaio 2015, n. 8).

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 8 del 12 gennaio 2015 il D.P.C.M. del 13 novembre 2014, che contiene le “Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonché di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni ai sensi degli articoli 20, 22, 23-bis, 23-ter, 40, comma 1, 41, e 71, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005”.

Il provvedimento entrerà in vigore il prossimo 11 febbraio e contiene importanti previsioni in materia di formazione del documento informatico, indicando fra l’altro le operazioni necessarie per garantirne le caratteristiche di immodificabilità e di integrità (art. 3) e dando disposizioni in materia di copie e in materia di sicurezza per garantire la c.d. “tenuta del documento” (art. 8). Inoltre, specifiche previsioni disciplinano la formazione dei documenti amministrativi informatici e dei fascicoli, registri e repertori informatici.

DIRITTO DEL LAVORO

Il lavoratore deve provare l’esistenza di condotte del datore dirette alla sua emarginazione (Corte Cass., sez. Lavoro, sent. 23 gennaio 2015, n. 1258).

La Corte di Cassazione con sentenza 23 gennaio 2015 n. 1258/15 ha precisato che ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo, devono ravvisarsi da parte del datore di lavoro comportamenti, anche protratti nel tempo, rilevatori, in modo inequivoco, di un’esplicita volontà di quest’ultimo di emarginazione del dipendente. Occorre pertanto dedurre e provare la ricorrenza di una pluralità di condotte tutte dirette all’espulsione dal contesto lavorativo, e comunque connotate da un alto tasso di vessatorietà e prevaricazione, nonché sorrette da un intento persecutorio e tra loro intrinsecamente collegate dall’unico fine intenzionale di isolare il dipendente.

DIRITTO PENALE

L’errore di diritto è scusabile se incolpevole data la sua inevitabilità (Corte Cass., sez. III Pen., sent. 26 gennaio 2015, n. 3412).

La Suprema Corte con sentenza 26 gennaio 2015, n. 3412 ha precisato che l’esclusione della colpevolezza nelle contravvenzioni non può essere determinata dall’errore di diritto dipendente da ignoranza non inevitabile della legge penale, quindi da mero errore di interpretazione.

Tale errore è scusabile quando determinato da un atto della P.A. o da un orientamento giurisprudenziale univoco e costante da cui l’agente tragga la convinzione della correttezza dell’interpretazione normativa e, di conseguenza, della liceità della propria condotta.

DIRITTO TRIBUTARIO

La Guardia di Finanza può ampliare le verifiche senza obbligo di comunicarlo al contribuente (Corte Cass., sez. Tributaria, sent. 21 gennaio 2015, n. 992).

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 992, del 21 gennaio 2015, ha affermato che la Guardia di Finanza può ampliare le verifiche senza dover essere obbligata ad avvertire il soggetto accertato in quanto gli obblighi informativi sono previsti dallo Statuto di cui alla legge n. 212/2000 ma la mancata osservanza non rende l’accertamento nullo. Prima dell’entrata in vigore del c.d. “Decreto Sviluppo” (decreto legge n. 70/2011), la disposizione dello Statuto del contribuente che fissa un limite temporale preciso alla durata delle verifiche fiscali , ai sensi dell’art. 12, comma 5, l. n. 212/2000, così recitava: «La permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni». Tale norma è stata continuamente oggetto di interpretazione da parte della giurisprudenza, soprattutto negli anni più recenti, con decisioni che sono giunte a conclusioni talvolta estreme e contrastanti.

Con il d.l. n. 70/2011, il legislatore con l’art. 7, comma 2, lett. c), ha aggiunto il seguente periodo all’art. 12, comma 5, Statuto del contribuente, che afferma: «Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente di cui al primo periodo, così come l’eventuale proroga ivi prevista, non può essere superiore a quindici giorni in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi; anche in tali casi, ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente».

La novità introdotta dal d.l. n. 70/2011 comporta, pertanto, che il periodo massimo di durata della verifica fiscale presso il contribuente è differenziato in funzione del regime contabile da questi adottato:

– per i soggetti in contabilità ordinaria sono previsti 30 giorni, prorogabili, con atto motivato, di ulteriori 30;

per i soggetti in contabilità semplificata sono previsti 15 giorni, prorogabili di ulteriori quindici in caso di motivate esigenze d’indagine. In tutti i casi, precisa e ribadisce la nuova disposizione, ad avere rilevanza ai fini del calcolo dei giorni di durata della verifica sono «i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente».

MARCHI E BREVETTI

In vigore il Patent box, regime agevolato per lo sfruttamento di marchi e brevetti, introdotto dalla Legge di Stabilità 2015 (d.l. n. 3/2015, «Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti» in G.U. il 24 gennaio 2015).

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 gennaio 2015 ed entrato in vigore il giorno successivo, il d.l. n. 3/2015 (c.d. “Investment compact”) che ha modificato la disciplina del c.d. Patent box, il regime agevolato per lo sfruttamento di marchi e brevetti introdotto dalla Legge di Stabilità 2015, prevedendone l’estensione anche ai marchi commerciali e includendo, tra le condizioni per la fruizione dell’agevolazione, lo svolgimento di attività di ricerca e sviluppo anche in outsourcing.

L’art. 5 del decreto («Modifiche alla tassazione dei redditi derivanti dai beni immateriali e credito d’imposta per acquisto beni strumentali nuovi») dispone che:

– nelle attività immateriali per le quali è possibile fruire del regime agevolato (abbattimento del 50%, ai fini della formazione del reddito complessivo, dei redditi derivanti dall’utilizzo di opere dell’ingegno, marchi, e brevetti) sono inclusi anche i marchi commerciali (e non pi๠solo i marchi funzionalmente equivalenti a brevetti), nonché i disegni e i modelli;

– nel caso in cui i redditi siano realizzati nell’ambito di operazioni intercorse con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, ai fini della fruizione del beneficio non è pi๠necessaria la stipulazione di un un accordo di ruling internazionale con l’amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 8 del D.L. n. 269/2003, divenendo detto accordo una mera facoltà;

– lo svolgimento di attività di ricerca e sviluppo, posta dal comma 41 dell’art. 1 della Legge di Stabilità come condizione per la fruizione dell’agevolazione, può essere realizzato mediante contratti di ricerca stipulati non solo con università o enti di ricerca e organismi equiparati, ma anche con società diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.

PRIVACY

Diritto all’oblio e rimozione dei risultati di Google: i primi provvedimenti del Garante.

L’Autorità Garante per la Privacy ha adottato i primi provvedimenti relativi ai ricorsi di cittadini a cui Google ha negato la deindicizzazione delle pagine contenenti informazioni ritenute dagli interessati lesive della propria reputazione. Le segnalazioni e i ricorsi pervenuti al Garante, riguardano la richiesta di rimozione di risultati di ricerca relativi a vicende processuali. In seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014, che ha stabilito che Google deve cancellare dai risultati di ricerca relativi a nomi di privati cittadini le informazioni “inadeguate, non pertinenti o non pi๠pertinenti” qualora i cittadini lo richiedano, la compagnia di Mountain View ha pubblicato un modulo per il “diritto all’oblio” grazie al quale gli utenti possono chiedere la cancellazione dei risultati associati al loro nome.

L’eventuale deindicizzazione delle pagine è valutata da Google sulla base di alcuni elementi, tra cui l’interesse pubblico a conoscere la notizia, il tempo trascorso dall’avvenimento, l’accuratezza della notizia e la rilevanza della stessa nell’ambito professionale di appartenenza. Se la società rigetta la richiesta, gli utenti italiani possono fare ricorso al Garante per la privacy o all’Autorità giudiziaria.

Ad oggi l’Autorità per la protezione dei dati personali si è pronunciata su nove casi.

In sette provvedimenti il Garante non ha accolto la richiesta degli interessati, ritenendo corretta la valutazione di Google che aveva ritenuto prevalente l’interesse pubblico verso le informazioni.

L’Autorità ha invece accolto il ricorso di due cittadini. Nel primo caso, relativo a documenti pubblicati su un quotidiano online, perché erano presenti numerose informazioni eccedenti riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria riportata. Nel secondo caso, riguardante informazioni pubblicate su un blog, perché le informazioni erano “inserite in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona” e in violazione delle norme del Codice privacy e del codice deontologico che impone di diffondere dati personali nei limiti dell’”essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico” e di non descrivere abitudini sessuali riferite a una determinata persona identificata o identificabile.

L’Autorità ha quindi prescritto a Google di deindicizzare le pagine segnalate.

RESPONSABILITA’ DEGLI ENTI

Sono confiscabili, in caso di “reato in contratto”, le somme percepite dall’ente non giustificate dai costi concretamente sostenuti per l’esecuzione della prestazione (Corte Cass., sez. VI Penale, sent. 22 dicembre 2014, n. 53430).

La Suprema Corte di Cassazione, sez. VI penale, con la pronuncia n. 53430/2014, depositata il 22 dicembre, si è pronunciata in merito all’estensione del quantum confiscabile ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001, nei confronti di una società indiziata di essersi avvalsa del reato “fra gli altri – di truffa ai danni dello Stato ex art. 640, n. 2 c.p. per assicurarsi una commessa a seguito di appalto.”

Il fatto in specie costituiva tipo di “reato in contratto” per cui l’ente ha fornito regolari prestazioni alla pubblica amministrazione pur riconosciuta una genesi illecita “per le illiceità nella procedura di gara per l’affidamento – alla costituzione del rapporto negoziale.”

In tal caso il penalmente rilevante incide sulla fase di formazione della volontà contrattuale o sull’esecuzione del negozio, pur il contratto restando valido e in tal caso il profitto confiscabile va concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità acquisita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente.

SICUREZZA SUL LAVORO

La titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante (Corte Cass., sent. 27 gennaio 2015, n. 3786).

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3786/15, depositata il 27 gennaio ha precisato che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento pregiudizievole, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte del garante di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire, sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante medesimo e l’evento dannoso.

È necessario accertare se, pur nell’ipotesi in cui il datore di lavoro avesse rispettato tutte le norme cautelari, l’evento lesivo si sarebbe egualmente verificato.

Ciò perché, conclude il Giudice, ribadendo un consolidato orientamento di legittimità (Cass., sez. IV Pen., n. 16761/2010), in tema di reati colposi, l’addebito soggettivo dell’evento richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione delle regole protettive idonee a tal fine, non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con una valutazione ex ante, non avrebbe comunque potuto essere evitato.

TRUST

I Beni del trust sono intestati solo formalmente al trustee e quindi sono esclusi dal suo patrimonio (Corte Cass., sez. II Pen., sent. 3 dicembre 2014, n. 50672).

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 50672, depositata il 3 dicembre 2014 ha precisato che i beni conferiti in trust costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee, venendo essi intestati a questo, che ha il potere e l’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità delle disposizioni del trust. Viene, quindi, riconosciuta una mera intestazione formale del patrimonio separato al trustee, rimanendo, invece, beni e rapporti giuridici conferiti, ancorati al fine determinato dal regolamento del trust che il trustee ha l’obbligo di perseguire.

La violazione di questo vincolo funzionale e la destinazione, pertanto, dei beni conferiti in trust a finalità proprie del trustee e/o comunque a finalità diverse da quelle per cui il trust è stato istituito concreta quella interversione del possesso in proprietà che costituisce l’essenza del delitto di cui all’art. 646 c.p.

DI TUTTO UN PO’

DIRITTO DI FAMIGLIA

Il bambino nato da maternità surrogata all’estero è figlio dei genitori committenti italiani (CEDU, sez. II, sent. 27 gennaio 2015, Paradiso e Campanelli c. Italia).

La CEDU, sez. II, nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia del 27 gennaio 2015 ha risolto ambiguità in tema di maternità surrogata dato che la giurisprudenza interna e delle corti UE è divisa sul punto. La maternità surrogata, anche dopo la pronuncia n. 162/2014 della Consulta, continua ad essere vietata in Italia.

La giurisprudenza si è sempre divisa sul riconoscimento dello status di figlio dei committenti. La Cassazione, con la decisione n. 24001/2014, in un identico caso, lo ha dichiarato figlio di nessuno ed adottabile: l’ordinamento italiano, per il quale la madre è colei che partorisce, contiene un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità.

Per la CEDU questa soluzione è una extrema ratio e per vari motivi non c’è stato un equo bilanciamento degli interessi in gioco, soprattutto quello supremo del bimbo ad avere un legame familiare (parentale, genetico od altro) con i genitori committenti, i quali pertanto sono stati risarciti con € 30.000 oltre oneri accessori.

INCENTIVI

Incentivi alle assunzioni introdotti con la Legge di Stabilità del 2015.

Gli incentivi alle assunzioni introdotti con la Legge di Stabilità del 2015 prevedono contributi zero per tre anni, a chi recluta un nuovo dipendente a tempo indeterminato.

Se un’azienda proporrà fin da subito un inquadramento stabile al lavoratore, per 36 mesi non dovrà pagare gli accantonamenti previdenziali all’INPS.

Hanno diritto alle agevolazioni tutte le imprese che assumono fin da subito un lavoratore a tempo indeterminato o che convertono in un contratto stabile un precedente rapporto precario già in essere, per esempio un impiego a termine o una collaborazione a progetto (co.pro).

Il dipendente reclutato però non deve aver lavorato con altri contratti a tempo indeterminato presso qualsiasi impresa nei sei mesi che precedono la data dell’assunzione.

PROFESSIONISTI E IMPRESE

Istituito il registro degli organismi autorizzati alla gestione della crisi da sovraindebitamento.

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 21 del 27 gennaio 2015 il decreto del Ministero della Giustizia n. 202 del 24 settembre 2014, disciplinante l’istituzione presso il Ministero della Giustizia del registro degli organismi autorizzati alla gestione della crisi da sovraindebitamento, al quale possono iscriversi anche avvocati, commercialisti e notai, introdotti dalla l. n. 3/2012, con la finalità di consentire la possibilità di sdebitarsi anche a tutti i soggetti esclusi dalla legge fallimentare.

NEWS ED EVENTI DELLO STUDIO

L’avvocato Nicola Tilli il 5 e 6 febbraio 2015 terrà per la Scuola di Specializzazione per le professioni Forensi dell’Università di Urbino delle lezioni in tema di “Legal compliance: le varie conformità normative in un quadro di integrazione 231, sicurezza sul lavoro, antiriciclaggio, codice privacy, ambiente” e di “La compliance antiriciclaggio e l’introduzione della normativa sulla voluntary disclosure”.

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L’avvocatessa Miriam Polini il 12 febbraio 2015 terrà per la Scuola di Specializzazione per le professioni Forensi dell’Università di Urbino una lezione sul tema La tutela normativa del Made in Italy.

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Newsletter a cura di Novastudia Milano:

slt@novastudia.com

Il presente documento è una nota di studio. Quanto nello stesso riportato non potrà pertanto essere utilizzato o interpretato quale parere legale né utilizzato a base di operazioni straordinarie, né preso a riferimento da un qualsiasi soggetto o dai suoi consulenti legali per qualsiasi scopo che non sia un’analisi generale e sommaria delle questioni in esso affrontate.


Responsabilità management e compliance

Responsabilità dirigenziale e compliance nella sicurezza sul lavoro.

Due recenti pronunce della Cassazione ci permettono di soffermarci sui profili di responsabilità civile in capo al vertice aziendale, alla dirigenza preposta al ruolo di garante della sicurezza sul lavoro e sul funzionamento delle deleghe di funzione adeguatamente predisposte al fine di suddividere la suddetta responsabilità.

Il tema è quello della possibilità o meno per il vertice di potersi sgravare da responsabilità tramite apposita delega di funzioni a dirigenti prescelti, atteso che, in imprese di rilevanza dimensionale elevata (migliaia di dipendenti, decine di sedi) la pretesa responsabilità  civile dell’amministratore delegato veniva e viene vissuta come una forzatura ingiusta per il fatto che, nella sostanza, contrasta con l’impossibilità del soggetto di farsi parte attiva e/o operativa per contrastare il fenomeno in questione da piu’ punti di vista.

Innanzitutto, dal punto di vista materiale è evidente e incontrovertibile l’impossibilità di svolgere la funzione di responsabile della sicurezza sul lavoro per le concomitanti funzioni manageriali a cui il manager/management deve attendere; esse possono essere complesse e svolte in diversi contesti geografici sicché apparirebbe una estrema forzatura garantire i lavoratori con una presenza che sarebbe eminentemente formale.

In secondo luogo, ugualmente paradossale apparirebbe la responsabilita’ addossata al manager che tecnicamente non avesse il know-how e l’esperienza professionale per occuparsi del tema-sicurezza.

Pertanto, data la capillare importanza sociale del tema della sicurezza e dei connessi infortuni sul lavoro, i dipendenti sarebbero adeguatamente tutelati non da una mera operazione di facciata consistente nell’attribuire al vertice una sorta di responsabilità oggettiva (detto della sua inevitabile assenza fisica e operativa), ma da una auspicabile attivazione della fonte di responsabilità in capo a funzionari all’uopo delegati e preposti dal vertice.

Trattasi di coloro che sono realmente presenti e operativi sul posto e che abbiano le qualifiche tecniche per adoperarsi in materia. Tutto ciò garantirebbe l’effettiva tutela dei lavoratori e darebbe sostanza alla governance in materia operata dall’azienda attraverso la creazione di adeguati protocolli.

Entrando nel commento, le due pronunce in materia fanno chiarezza con significati orientamenti che si iscrivono in un solco già tracciato dal dettato di legge (qui ripreso con dovuta interpretazione) e dottrina.

La prima pronuncia (CASS., SEZ. IV PENALE, SENT. 29 LUGLIO 2014, N. 33417) precisa che l’amministratore e legale rappresentante di una società (specie se di ampie dimensioni) non possa essere, solo per il ruolo ricoperto, automaticamente ritenuto penalmente responsabile di ogni violazione riguardante gli obblighi antinfortunistici, venendosi altrimenti a creare un’inammissibile ipotesi di responsabilità oggettiva.

Se ne può desumere, che laddove in Azienda sia stato predisposto un efficace organigramma, a compendio del quale figuri un congruo sistema di deleghe, il vertice dirigenziale possa risultare protetto da eventuali addebiti ricollegati a condotte poste in essere da soggetti posti a livello sub-apicale.

Allo stesso modo, seppur in senso più generale, se un corretto sistema di deleghe attribuisce funzioni (delegabili) proprie di un soggetto ad altri, il soggetto delegante (fatta eccezione per le riserve di legge, tra cui le ipotesi di culpa in eligendo e di culpa in vigilando) potrà chiamarsi esente da responsabilità  in caso di condotta criminosa del delegato.

La pronuncia in commento, peraltro, precisa che anche a prescindere dall’adozione di un (più che) opportuno sistema di deleghe, i soggetti subordinati al datore di lavoro sono pur sempre destinatari di specifici obblighi antinfortunistici che, se violati, comportano una responsabilità ad essi soltanto ascrivibile; in tal senso secondo la Corte, infatti, l’art. 1 comma 4-bis del D.Lgs. 19.09.1994 n. 626 (come modificato dal D.Lgs. 19.03.1996 n. 242), nel disporre che il datore di lavoro, i dirigenti ed i preposti sono tenuti all’osservanza delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro, comporta anche per i collaboratori del datore di lavoro (dirigenti e preposti) a venir considerati, nell’ambito delle rispettive competenze ed attribuzioni, destinatari iure proprio dell’osservanza dei precetti antinfortunistici,indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc.

La seconda pronuncia (C. Cass., sent. 17 settembre 2014, n. 38100) rafforza il concetto, espresso dalla Consulta a luglio, ribadendolo a distanza di soli due mesi.

Con la sentenza n. 38100, depositata il 17 settembre 2014 la Consulta ha ribadito che “II responsabile del servizio di prevenzione e protezione è una sorta di consulente del datore di lavoro e i risultati dei suoi studi ed elaborazioni sono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest’ultimo è chiamato a rispondere delle eventuali negligenze del primo” (Cass. pen. Sez. IV, n. 1841 del 16.12.2009, Rv. 246163).

Infatti il ricorso all’ausilio di professionisti specializzati non implica alcuna possibilità di scaricare sugli stessi ogni responsabilità di cui è espressamente onerato il datore di lavoro ma significa solo che questi puo’ avvalersi, facendole proprie, delle segnalazioni, raccomandazioni, consigli precauzionali e prevenzionali espressi dagli specialisti medesimi in relazione alla specifica attività lavorativa per la quale è stato sollecitato il loro intervento.

In questo contesto è chiaro che permane un dovere ineluttabile di scelta (ius eligendi) e vigilanza (ius vigilandi) da parte del datore sui soggetti preposti all’attività di prevenzione.

Quello che non deve essere equivocato cosa bisogna intendere per datore di lavoro, dato che il ruolo che assume questa figura va verificato in concreto con la posizione che riveste chi è stato investito della funzione tramite delega del vertice, funzione implicante appunto anche i controlli di cui sopra.

Sul punto, continua la Corte: “È utile ricordare, in proposito, ulteriori principi affermati da questa Corte in tema di delega del datore di lavoro. È vero che nelle imprese di grandi dimensioni si pone la delicata questione, attinente all’individuazione del soggetto che assume su di sè, in via immediata e diretta, la posizione di garanzia, la cui soluzione precede, logicamente e giuridicamente, quella della (eventuale) delega di funzioni. In imprese di tal genere, infatti, non può individuarsi questo soggetto, automaticamente, in colui o in coloro che occupano la posizione di vertice, occorrendo un puntuale accertamento, in concreto, dell’effettiva situazione della gerarchia delle responsabilità all’interno dell’apparato strutturale, così da verificare l’eventuale predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l’organo di vertice da responsabilità di livello intermedio e finale (cosa, esattamente, Sezione IV, 9.7. 2003, Boncompagni; Sezione IV, 27.3. 2001, Fornaciari, nonche’ Sezione IV, 26.4.2000, Mantero). In altri termini, nelle imprese di grandi dimensioni non è possibile attribuire senz’altro all’organo di vertice la responsabilità per l’inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre apprezzare l’apparato organizzativo che si è costituito, sì da poter risalire, all’interno di questo, al responsabile di settore. Diversamente opinando, del resto, si finirebbe con l’addebitare all’organo di vertice quasi una sorta di responsabilità oggettiva rispetto a situazioni ragionevolmente non controllabili, perché devolute alla cura ed alla conseguente responsabilità di altri. È altrettanto vero che il problema interpretativo ricorrente è sempre stato quello della individuazione delle condizioni di legittimità della delega: questo, per evitare una facile elusione dell’obbligo di garanzia gravante sul datore di lavoro, ma, nel contempo, per scongiurare il rischio, sopra evidenziato, di trasformare tale obbligo in una sorta di responsabilità oggettiva, correlata in via diretta ed immediata alla posizione soggettiva di datore di lavoro. Sul punto, costituisce affermazione consolidata che il datore di lavoro sia il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica. Ciò dovendolo desumere, anche a non voler considerare gli obblighi specifici in tal senso posti a carico dello stesso datore di lavoro dal decreto legislativo in commento, dalla “norma di chiusura” stabilita nell’art. 2087 c.c., che integra tuttora la legislazione speciale di prevenzione, imponendo al datore di lavoro di farsi, in quanto tale, garante dell’incolumità dei lavoratore. Va, quindi, ancora una volta, ribadito che il datore di lavoro, proprio in forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica e di quella generale di cui all’art. 2087 c.c., è il “garante” dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità  morale del lavoratore, con la già rilevata conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” (art. 40 c.p., comma 2).

Altrettanto consolidato è il principio che la delega non può essere illimitata quanto all’oggetto delle attività trasferibili. In vero, pur a fronte di una delega corretta ed efficace, non potrebbe andare esente da responsabilità il datore di lavoro allorché le carenze nella disciplina antinfortunistica e, più in generale, nella materia della sicurezza, attengano a scelte di carattere generale della politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza (v., tra le altre, Sez. IV, 6.2.2007, Proc. gen. App. Messina ed altro in proc. Chirafisi ed altro). È da ritenere, quindi, senz’altro fermo l’obbligo per il datore di lavoro di intervenire allorché apprezzi che il rischio connesso allo svolgimento dell’attività lavorativa si riconnette a scelte di carattere generale di politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza. Tali principi hanno trovato conferma nel D.Lgs. n. 81 dei 2008, che prevede, infatti, gli obblighi del datore di lavoro non delegabili, per l’importanza e, all’evidenza, per l’intima correlazione con le scelte aziendali di fondo che sono e rimangono attribuite al potere/dovere del datore di lavoro (v. art. 17).

Trattasi: a) dell’attività di valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza al fine della redazione del documento previsto dal cit. Decreto legislativo, art. 28, contenente non solo l’analisi valutativa dei rischi, ma anche l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate; nonché b) della designazione dei responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (RSPP).

In definitiva è chiara l’importanza delle pronunce richiamate, in un contesto in cui il top management delle imprese di dimensione elevata ha sempre cercato di ottenere risposte certe circa i la presenza o l’assenza di profili di propri responsabilità in detti contesti e circa gli eventuali limiti. Le risposte (a volte incerte) si sono sempre giustamente concentrate sul funzionamento in concreto delle deleghe di funzioni, sulle modalità di una loro efficace adozione e sulla conseguente possibilità per il vertice aziendale di sgravarsi di responsabilità diretta in materia di lavoro, sia per oggettiva impossibilità temporale e fisica di attendere al ruolo, sia per mancanza delle conoscenze professionali e tecniche richieste per l’operatività del ruolo stesso. In diversi contesti, nel passato, vi sono stati dubbi e interpretazioni controverse in materia che ora la Suprema Corte sta tentando efficacemente provando a chiarire. Ovviamente, il tutto deve avvenire senza alcuna abiura dei principi di ius eligendi et vigilandi a cui sempre deve attendere ogni manager, evitando scarichi di responsabilità pretestuosi o approfittando del contesto normativo e/o interpretativo.

Milano, 22 settembre 2014 Avv. Nicola Tilli

Nicola Tilli


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Esterovestizione ed evasione fiscale

Evade il Fisco la società  all’estero senza dipendenti (Corte d’Appello di Milano, Sez. II Penale, sentenza 20 giugno 2014, n. 3534)

La Corte d’Appello di Milano torna ad occuparsi di “esterovestizione”, ossia della fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale di una una società  che, al contrario, continua di fatto la sua attività  e persegue il suo oggetto sociale in Italia, con lo scopo principale di sottoporre gli utili ad una minore tassazione.

Con la sentenza qui in commento, la Corte d’Appello di Milano ha dato concreta applicazione all’art. 73, III co., DPR 917/1986 (T.U.I.R.), secondo il quale sono da considerarsi fiscalmente in Italia le società e gli enti che, per la maggior parte del periodo d’imposta, hanno avuto la sede legale (ossia il luogo indicato dalla società  nell’atto costitutivo) ovvero la sede amministrativa (inteso come il luogo ove si forma e da cui promana la volontà  dell’organo amministrativo) ovvero l’oggetto principale (cioè il luogo in cui si concretizza l’attività economica svolta dalla società) nel territorio dello Stato italiano, bastando che uno solo di essi si sia verificato perché la società possa venire considerata fiscalmente residente in Italia e, quindi, soggetta all’obbligo dichiarativo.

La Corte d’Appello, pertanto, non ha esitato a condannare gli imputati, in quanto la sede dell’amministrazione, il nucleo direzionale ed il luogo dove veniva esercitata l’attività principale per la realizzazione degli scopi societari erano da individuarsi in Italia.

In particolare, l’organo giudicante è arrivato a tale conclusione attraverso l’esame di una serie di circostanze univoche, tra le quali: la sovrapponibilità  dei soggetti che in sede di cessione dei marchi avevano trattato per conto dei cedenti e della società cessionaria, la tenuta della contabilità  sprovvista di un’organizzazione propria per l’attività  svolta all’estero, la totale assenza di assunzioni.

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